Umberto Lucarelli: la scrittura come terapia, di Stefano Taccone

Con un libro come Sei giorni troppo lunghi (Milieu Edizioni, 2024) Umberto Lucarelli, scrittore, ma anche sceneggiatore, regista, operatore socio-culturale, chiude idealmente un cerchio apertosi come una profonda ferita quarantacinque anni fa, senza che per questo tale ferita possa dirsi chiusa e tanto meno annullata, ché nel regno della contingenza nulla si distrugge mai completamente, casomai si trasforma.

Nato a Milano nel 1961, ma da padre livornese e madre della provincia barese, fin dal 1974, con altri compagni suoi coetanei, fonda il Collettivo Autonomo Antifascista della Barona – quartiere a sud-ovest della capitale lombarda – occupando uno spazio dismesso. La volontà è quella di progettare, inventare, dare colore ad una vita che vice versa appare costantemente minacciata, offesa, soffocata dalle logiche tossiche, oppressive, in scala di grigi della ragione capitalista e lavorista. Come sfuggire all’oppressione del produttivismo e del lavoro come perdita di sé? Come evitare che anche il cosiddetto tempo libero diventi tempo di lavoro condotto con altri mezzi? Sono temi certo già posti nel Sessantotto ed ancora prima – dai situazionisti per esempio -, ma che trovano forse la loro massima espressione italiana nel nodale Settantasette. Sono problemi che in una città come Milano, tra tutte le città d’Italia, identificano forse il loro più lampante fondamento. Sono battaglie che – ahimè già alla fine degli anni Settanta, con il montare della stretta securitaria, della repressione poliziesca e della repressione giudiziaria, con il diffondersi della “droga di Stato” e, last but not least, il trionfo dell’edonismo e del consumismo – appariranno sempre più ardue.

Col senno di poi in questi “sei giorni troppo lunghi”, giacché siamo agli inizi del 1979, sono rinvenibili le prime avvisaglie di ciò che accade solo qualche mese dopo, quel famigerato 7 aprile con l’annesso Teorema Calogero. L’autore non ha allora che 18 anni, l’età in cui, come egli stesso afferma, sulla scorta di quanto sostenuto da un pensatore a lui caro, Rudolf Steiner, il fondatore della antroposofia, si può già intravedere ciò che si sarà e si farà per il resto della propria vita. La percezione della lunghezza – lo si sa – è data dal dolore o dalla noia del tempo che si vive. Certe torture inflitte con la massima crudezza e crudeltà ai membri del collettivo – accusati senza nessuna autentica prova di essere gli assassini, mandanti e/o esecutori materiali, di un gioielliere, pure particolarmente inviso al mondo della sinistra extraparlamentare milanese -, quali scariche elettriche in punti sensibili, senso di soffocamento prodotto riempendo la bocca d’acqua con un tubo, manganelli che picchiano forte, ma vengono anche spinti violentemente nel foro anale… vanno nel senso del dolore, mentre l’isolamento è una sorta di mistura indistinguibile, una noia talmente acuta da divenire dolore. In certi casi, suggerisce oggi Lucarelli, l’unico espediente per difendersi – forse – è sperare in uno svenimento.

Da allora in poi la vita di Lucarelli è segnata ancora dalla militanza, ma anche da una serie di pratiche tendenti se non alla guarigione almeno al bene proprio ed altrui – ché Erich Fromm ce lo insegna: l’amore per sé non è in contraddizione con l’amore per l’altro, anzi l’uno non c’è senza l’altro, mentre l’egoismo è qualcosa di ben diverso – sempre nell’ottica di una unione tra corpo e psiche, ed anche nell’alveo di una critica mossa contro la stessa tradizione teorica del marxismo, notoriamente materialista, malgrado tutte le sue eresie. La meditazione vipassana, il lavoro di educatore negli istituti professionali e a contatto con individui con disagio intellettivo e relazionale, che si manifesta preferibilmente – e là, dove possibile – attraverso laboratori teatrali e cinematografici, e naturalmente la scrittura. L’esordio nell’ambito di quest’ultima è parimenti legato al discorso sulla militanza degli anni della sua adolescenza, Non vendere i tuoi sogni mai (Tracce, 1987; Tranchida, 1987; Bietti, 2009), al quale segue Ser Akel va alla guerra (Tranchida, 1991; Bietti, 2009). Ad essi si aggiungono gli assai più recenti Vicolo Calusca (Bietti, 2018) e Gianmariavolonté (Bietti, 2022), capaci di rinverdire la memoria di due personaggi d’eccezione ed emblematici di un’epoca quali il libraio rivoluzionario, Primo Moroni, e l’attore che compie scelte politicamente assai coraggiose, sprezzante del pericolo della marginalità, e concepisce il cinema – al pari di Picasso per la pittura – come uno strumento politico. 

Questi quattro libri, insieme a Sei giorni troppo lunghi formano oggi una sorta di pentalogia del Settantasette. In un tempo in cui la memoria di quegli anni, di quanto realmente avviene in tutte le sue sfaccettature, è ben lungi da essere patrimonio comune e diffuso, ove la narrazione dominante sembra fossilizzarsi sul, quanto meno nebuloso, conflitto Stato-terrorismo, come se a sinistra vi siano stati solo il PCI e le Brigate Rosse – e purtroppo il tempo che passa, l’avvento di nuove generazioni sembrano tutt’altro che contribuire ad invertire la rotta –, tanto più trovo questa pentalogia preziosa. 

A questo nodo tematico si affiancano però ben presto libri di altro argomento, benché sempre congiunti da un filo rosso che è ancora, benché più latamente, politico. Il quaderno di Manuel (Tranchida, 1994), raccontando dell’intenso rapporto tra un insegnante e un suo studente con disabilità psichica, apre appunto il filone che si occupa di questa problematica, una linea ideale sulla quale si pongono successivamente Pavimento a mattonella (BFS, 2001) e Rivotrill (Bietti, 2011). L’autore non intende mai, non di meno, il disagio della diversità come qualcosa di semplicemente difforme da una presunta, astratta, oggettiva normalità – che spesso questa non è che l’insidioso nome con il quale i poteri dominanti impongono i loro paradigmi. Esso genera anche incontro, occasione di arricchimento, senza per questo naturalmente negare una condizione di sofferenza.

Normale, a dirla tutta, non può dirsi nessuno di noi. Fossimo fatti d’aria (BFS, 1995) pure parla di differenza e sofferenza e pure parla della relazione tra la differenza-sofferenza propria e quella altrui, solo che questa volta, ambientato a Cuba, l’altro è politico, sociale, geografico, benché naturalmente la dimensione psichica si scopra anche qui, finalmente, l’autentico oggetto di interesse. Ma il senso della vita, e della morte, è traccia ancor più evidente in libri successivi come Nulla (BFS, 1999) o Commiato (Bietti, 2014), così come la ricerca sull’esistenza, o meglio ancora sull’essere in Sangiorgio il drago (Ibis, 2008), sagace quanto significativo détournement del celebre racconto agiografico. 

 Entrando nel terzo decennio del XXI secolo, troviamo innanzi tutto Invettiva! (Bietti, 2020), amara denuncia delle condizioni di lavoro nelle cooperative sociali che, pensandosi originariamente come alternativa radicale alla giungla dello sfruttamento capitalista, finiscono, nei tempi più recenti, per mettere in atto i medesimi metodi di mobbing, e Ingiustizia! (Bietti, 2021), che, narrando la vicenda di un professore ingiustamente accusato di molestie sessuali, può essere anche letto come un adombrare la vittimizzazione vissuta sulla propria pelle a 18 anni e quella che si sperimenta collettivamente in pandemia. I successivi Affanno (2023) e Montecristo. Una catastrofe o una salvezza (2023) affrontano invece di petto tale pernicioso, terrificante periodo, anche e soprattutto, per l’autore, data la sua gestione politica e la (in)capacità generale dei cittadini di reagire a certi condizionamenti, scoprendosi peggiori piuttosto che divenire migliori, come vorrebbero certi insistenti slogan che accompagnano le prime settimane di chiusure. Infine, Erstfeld (2023), ambientato in treno, è un’occasione per riprendere, ancora una volta, il filo delle interrogazioni tra vita e morte.

Stefano Taccone

Stefano Taccone è nato a Napoli nel 1981. Ha conseguito un dottorato di ricerca in Metodi e metodologie della ricerca archeologica e storico-artistica all’Università di Salerno. Attualmente è docente di Storia dell’arte nella Scuola secondaria di II grado. Ha pubblicato le monografie Hans Haacke. Il contesto politico come materiale (Plectica, 2010), La contestazione dell’arte (Phoebus Edizioni, 2013; Iod Edizioni, 2015), La radicalità dell’avanguardia (Ombre Corte, 2017), La cooperazione dell’arte (Iod Edizioni, 2020), La critica istituzionale. Il nome e la cosa (Ombre Corte, 2022); le raccolte di racconti Sogniloqui (Iod Edizioni, 2018) e Morfeologie (Iod Edizioni, 2019), il romanzo Sertuccio (Iod Edizioni, 2020) e le raccolte di poesie Alienità (Edizioni Divinafollia, 2019), Terrestri d’adozione (Edizioni Progetto Cultura, 2021) e Sciogliete le rime (Campanotto Editore, 2023). Ha curato i volumi Contro l’infelicità. L’Internazionale Situazionista e la sua attualità (Ombre Corte, 2014) e Religione/arte/rivoluzione, anche (Massari Editore, 2020). Collabora stabilmente con le riviste “Frequenze Poetiche”, “Segno” ed “OperaViva Magazine”.