Danza e Letteratura: “Lo Schiaccianoci – da Hoffmann e Dumas a Tchaikovskij e Petipa”, di Serena Cirillo

Tra i più iconici del repertorio, sicuramente il più rappresentato con le sue innumerevoli versioni, il Balletto “Lo Schiaccianoci” continua ad incantare grandi e piccini trasportando tutti in un’atmosfera magica. Entrato a pieno titolo nella tradizione, è uno dei simboli del Natale in tutto il mondo, tanto da aver offerto uno spunto per spettacoli di ogni genere: dal balletto classico a quello contemporaneo, dal cartone animato di Walt Disney al film di Lass Hallstrom, dal fumetto di Topolino alla coreografia di pattinaggio sul ghiaccio “Schiaccianoci on ice”. L’autore della storia è Alexandre Dumas padre, anche se in realtà la vera paternità è da attribuirsi a Hoffmann, dalla cui fiaba “Schiaccianoci e il re dei topi” del 1816, Dumas fu ispirato e nel 1845 ne scrisse una sua versione intitolandola “Storia di una Schiaccianoci”.  Versione sì edulcorata rispetto al genere gotico di Hoffmann, ma resa ancora più affascinante perché Dumas fu in grado di mantenere la potenza visionaria che sostiene la narrazione dell’autore tedesco, rendendo però la storia più fruibile grazie alla piacevole scorrevolezza tipica del suo stile.  L’infanzia dello scrittore fu segnata da problemi economici e un’istruzione approssimativa, ciononostante, il suo talento per la scrittura fu tale da renderlo uno dei più grandi scrittori francesi di tutti i tempi, incredibilmente prolifico e con una straordinaria capacità di intuire le aspettative dell’immaginario collettivo. Grazie a questa abilità si affermò innanzitutto come creatore del “feuilleton” o romanzo d’appendice, che veniva pubblicato a puntate sulle riviste; infatti, le sue opere letterarie più note, tra cui I tre moschettieri e Il conte di Montecristo, ebbero origine proprio in questo modo durante gli anni di maggiore produttività, dal 1844 al 1850. Allo stesso periodo risale “Storia di uno schiaccianoci”, che si presenta come una favola per bambini senza particolari pretese, un divertissement del romanziere concepito come fiaba di Natale. La trama, apparentemente semplice, diventa sempre più articolata con quel continuo passaggio dalla realtà alla fantasia tipico delle favole importanti e strutturate, lasciando il pubblico incapace di tracciare un confine netto tra i due mondi.

La storia è ambientata all’inizio dell’ ‘800 in una dimora dell’alta borghesia tedesca, dove una famiglia con due bambini, (Clara e Fritz nel balletto) si appresta a festeggiare il Natale dando un ricevimento con molti invitati e altrettanti bambini. Grande entusiasmo suscita l’arrivo dello zio Drosselmeyer, padrino di Clara e Fritz, che intrattiene i bambini con giochi di prestigio e porta in regalo giocattoli meccanici costruiti da lui stesso. Tra i doni c’è uno schiaccianoci a forma di soldatino che piace molto a Clara. Dopo la serata, Clara si addormenta e sogna che lo schiaccianoci si anima e combatte, al comando dei soldatini di Fritz, contro un esercito di topi che cercano di ucciderlo. Nel duello finale col re dei topi lo schiaccianoci sta per soccombere quando Clara interviene a salvarlo uccidendo il nemico. Per incanto lo schiaccianoci si trasforma in principe e la conduce nel regno di Marzapane, dove le case e il paesaggio sono fatti di dolciumi e la fata Confetto dà una festa in onore del vincitore che ha sconfitto il re dei topi. Tutti gli invitati si esibiscono in danze coinvolgendo i due protagonisti. La bambina si risveglia e racconta ciò che ha vissuto come se fosse realtà, ma i genitori, ovviamente, le dicono che è stato un sogno reso ancora più complicato dalla febbre che le è venuta. Lei si riaddormenta, continua a sognare, la sua avventura ha ulteriori sviluppi e alterna sogno a realtà, con lo zio Drosselmeyer che sembra conoscere già il sogno come se davvero vi avesse partecipato. Sia il racconto che il balletto terminano col risveglio di Clara e il suo incontro con un giovane affascinante, nipote di Drosselmeyer, che incarna lo schiaccianoci trasformatosi in principe, con cui corona il suo sogno d’amore.

Le suggestioni create dalla fiaba attirarono l’attenzione di Tchaikovskij e Petipa che, incaricati dal sovrintendente dei Teatri Imperiali russi Ivan Vsevolozskij di scrivere un nuovo balletto per Natale, ritennero “Storia di uno schiaccianoci” la base ideale per creare coreografie varie e fantasiose. Così, seguendo pedissequamente le indicazioni del coreografo, Tchaikovskij. scrisse la suite, l’overture, i passi a due, i valzer e le danze: araba russa, cinese, pastorale, spagnola. Il musicista adattò la musica alla coreografia e il coreografo adattò la coreografia alla storia, arricchendo il balletto con elementi in più, come le danze, che compongono il divertissement più conosciuto tra le musiche di Tchaikovskij e culminano nel celeberrimo valzer dei fiori, funzionali a farne uno spettacolo grandioso. Scenografie, costumi, effetti speciali e trovate sceniche a profusione in un balletto apprezzato non solo per la tecnica richiesta ai ballerini, ma anche per la spettacolarità a cui si presta. Lo hanno riproposto nei secoli tutti i teatri d’opera, tutte le compagnie di danza e le scuole di danza, sia accademie di enti lirici che private. La prima versione, quella creata da Petipa e il suo assistente Ivanov nel 1892 per il Marinskij di San Pietroburgo, è stata rivisitata da Gorskij per il Bolshoi di Mosca nel 1919, il quale ha inserito il risveglio di Clara alla fine, éscamotage funzionale alla comprensione della storia che è rimasto in quasi tutte le coreografie successive. In Italia è stato rappresentato per la prima volta al Teatro alla Scala nel 1938 dalla coreografa Margherita Froman, riscuotendo notevole successo, lo stesso che gli è stato tributato anche al San Carlo di Napoli nel 1952 e all’Opera di Roma nel 1953. La consacrazione definitiva al ruolo di balletto di Natale, dando origine alla tradizione, si deve a Balanchine, che nel 1954 al New York City Ballet ne mise in scena la rivisitazione più particolare vista fino ad allora, dividendo rispettivamente la realtà dal sogno nei due atti che lo compongono tuttora. Essendo un balletto antico ma universalmente apprezzato, e la più richiesta tra le produzioni del XIX secolo, tanto che ogni anno registra il sold out in molti teatri, è stato oggetto di numerose interpretazioni da parte dei coreografi attuali. Luciano Cannito per il Roma City Ballet ne ha fatto una versione fedele alla tradizione, di cui rispetta l’opulenza nella scenografia e lo stile nei costumi, ma più veloce e snella per durata e coreografie, in modo da renderla più fruibile e adattabile soprattutto in tournée. Fredi Franzutti per la compagnia Il Balletto del Sud ne ha creato una versione ispirata al cinema di Tim Burton, con dei richiami ai suoi personaggi e inserendo dei pezzi di danza contemporanea. Una delle versioni più moderne e sperimentali è stata quella che Amedeo Amodio ha scritto per l’Aterballetto, presentata al Teatro dell’Opera di Roma nel 1997, col primo ballerino Manuel Paruccini, estremamente versatile, che ha dato vita ad un Drosselmeyer rivoluzionario e unico nel suo genere. Totalmente contemporaneo, ambientato in un luna park, è lo Schiaccianoci che lo stesso Paruccini, in veste di coreografo, ha ideato insieme ad Alessia Gèatta e portato in scena al Teatro Brancaccio per i danzatori selezionati del W.O.M. International Dance Training. Tanti coreografi, tante idee per un balletto che piace a tutti, non stanca mai, e, entrato nella tradizione, ormai è richiesto dal pubblico di tutti i teatri del mondo come rito del Natale di cui non si può fare a meno.

Serena Cirillo

Serena Cirillo: Laureata in Lingue e Letterature Straniere, già docente di comunicazione istituzionale al Consolato Americano di Napoli, specializzata in didattica dell’Italiano agli stranieri. Giornalista e critico di danza per il ROMA, Corriere dello Spettacolo e Cityweek. Redattrice della rubrica Danza e Letteratura sulla rivista letteraria “Il Randagio”.  Responsabile Stampa del Festival di danza Anima Flegrea. Senza aver mai smesso di studiarla, scrive, anzi narra di danza in tutte le sue forme.