Silenzio e ascolto: osmosi quasi sincopata nel sangue, è la fusione che presiede a tutta la silloge poetica di Amén.
Ascolto e silenzio: tessitura di linfe generatrici di una scrittura poetica coraggiosa e insieme ariosa. Coraggiosa perché scaturita da una lotta interiore, dalla cognizione, tutt’altro che scontata, di una personale incompiutezza esistenziale, di un camminamento segnato da inciampi e cadute, da attoniti farfugliamenti e balbettii, da interrogativi insoluti che azzarderebbero una manifestazione, se non sapessero che la risposta è nel ginocchio che cede, nel tendine / che si lacera e impone a occhi bambini /di toccare la terra e tornare tra i muschi. Coraggiosa e, nel contempo, ariosa perché, pur restando in bilico fra desiderio e fragilità, nella sospensione di una labile attesa, dalla frammentata quotidiana realtà sa compiere imponderabili slanci, sublimando la lacerata esistenza a vette di universale bellezza.
Il firmamento/dentro di me, /la Legge sopra/- e attorno – di me

Un silenzio che nella silloge si presenta, con immagini e limpide metafore, sfaccettato a seconda di particolari situazioni e stati d’animo; talvolta è sete o soffio tenace; talaltra è delicato bisogno: un silenzio /che copra di neve /il mio cuore, oppure è consolazione / silenzio di velo che (ne) accarezza lo strazio, o persino l’ignominiosamente efferato silenzio nazista.
Per non parlare di un altro significativo, supremo silenzio che Donati definisce, con perfetta assolutezza, spaventevole: qualcosa di totalmente vertiginoso e ignoto, simile allo “tzimtzum”, Dove sta Colui / che non si nomina, soglia impenetrabile del vuoto, eppure luogo sacro della gestazione, da cui la divina contrazione trabocca nella Luce della cosmica creazione.
Un silenzio, palpitante e fecondo, che egli canta nei suoi versi perché è così che si forgia /la promessa. La promessa del ricordo, la promessa del suo destino di ebreo e di poeta, giacché inizia dal magma la ricostruzione.
Sembra udire le parole di Rilke, nei suoi Sonetti a Orfeo: “E tutto tacque. Eppure in quel tacere/s’avanzò nuovo inizio”.
Silenzio che, s’è detto, si coniuga con l’ascolto. Esemplare la definizione che egli ne dà:
Ascoltare … è tornare nel palmo delle proprie mani, / percorrerne con lentezza di lumaca ogni solco e dirsi uomo/ capace di non porre domande a un cielo pudico/ che tace.
Un tacere e un chiudere gli occhi, il suo, per ascoltare suoni e rumori del presente e la fragile apparenza del mondo: la notte// il canto lieve di un addio. // il passo del timido // la parola del deserto.
A occhi chiusi, soprattutto per affondare lo sguardo nel precipizio di sé stessi, in quel baratro echeggiante un tragico passato – tra antenne d’insetti, e maceri di fogliame ho raccolto/ ossa di avi, – un passato che è incessante rimembranza, dolorosa e sempre aperta ferita.
Di sé, con sincero pudore, parla l’uomo poeta: la mia terra è il deserto… Vengo da una crepa / di una storia antica; storia che purtroppo oggi corre il pericolo della dimenticanza. Ne scaturisce dunque la necessità sì di un silenzio riflessivo, ma anche l’urgenza di una poesia, come doverosa memoria, che consacri quei milioni di Nomi.
L’opera è suddivisa in tre parti, Eppure…, Essenze e Balbuzie: in quest’ultima si compiono gli attraversamenti poetici immaginari, ovvero un inopinato dialogo che l’autore intesse con grandi e nobili Maestri (Celan, Pessoa, Cohen, Borges, Ungaretti, Quasimodo…), un originale intreccio di echi, sensazioni e confidenze personali e sottili consonanze affettive. (Mi sono però chiesta perché su 22 nomi un solo attraversamento poetico avviene nella “dimora” di una Musa Maestra, Patrizia Valduga, quando varie sono le luminose voci di donne che nella vita e nella poesia hanno profuso, senza risparmio, sangue e passione; giusto per citarne alcune: Marina Cvetaeva, Nelly Sachs, Rose Ausländer, Antonia Pozzi, Margherita Guidacci…)
Insomma un personale e mirabile omaggio a poeti e cantori, ai quali Donati, sicuramente, deve il suo percorso di uomo e di letterato.
Da una poesia all’altra, da una strofa all’altra, si delinea via via, quindi, la sommessa postura di un’anima, qual è quella di Sergio. Quel tragitto da lui compiuto in Amen, che non è un conclusivo “Così sia” ma “in verità” una peregrinazione meditata e inesausta tra discese e salite, tra guadi e soste. Una sostanziale modalità espletata mediante un’assurda – ma mai sterile – ricerca sia ontologica che spirituale, che porta i segni di una lotta sanguinante e necessaria, che si fa tutt’una con l’essenza della parola poetica. Una distillazione lirica che, nel velare e nello svelare, sul filo della pietà, la sofferenza e il solitario travaglio, è in grado tuttavia di dare nutrimento all’anima.
Benché egli umilmente si definisca amanuense, / forse solo artigiano, le sue poesie sono contraddistinte da un armonico e pausato incedere e indugiare, senza cascami vischiosi, da richiami dotati di una sapiente presenza evocativa – si pensi ai rimandi letterari, di cui sopra, e ai numerosi riferimenti biblici (1° libro dei Re, Esodo, Salmi…) – e da versi limati con sottigliezza linguistica nella cura selettiva dei termini e delle traslazioni verbali. Emerge così un’opera di nuda eleganza e di trasparente intensità, che certamente richiederebbe non una semplice analisi come quella da me finora appena tratteggiata in questa breve nota.
Ciò che resta da fare, a questo punto, è inoltrarci un po’ di più nella dimensione umana e poetica che Sergio ci apre, lasciandoci condurre dal fluire sussurrato delle sue liriche.
SORGE SUL PALMO
In attraversamento poetico con
Guido Guinizzelli (Bologna, 1230 – Monselice, 1276)
Sorge sul palmo della mano ogni lode,
quando s’apre il pugno
e s’arrende al bello,
come petalo a brina.
Sorge sul palmo della mano ogni passo
e ricordo e melanconia;
svapora verso il cielo
ogni canto del Sublime.
Resta, sul palmo della mano,
un amore senza nome,
una casa senza porta
ed entrano spifferi di resa
lenta, e attenta
FECONDA
Tengo per me solo
– non detta e feconda –
una benedizione alla vita
CANTO LA NENIA
Canto la nenia,
che più consola,
il passo lento
su quel crinale.
E non ha nome,
né più misura,
la mia sete
di silenzio. Blu
Grazia Frisina*
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Sergio Daniele Donati, nato a Milano nel 1966, ove ancora risiede. Ha pubblicato per Il Leggio editore la raccolta poetica Amén (2024); per Divergenze edizioni il romanzo «Tutto tranne l’amore» (2023); per Ensemble edizioni la silloge «Il canto della Moabita» (2021); per Mimesis edizioni (Collana dei Taccuini del Silenzio) il saggio «E mi coprii i volti al soffio del Silenzio» (2018). Sue poesie sono apparse nelle antologie «Pasti caldi giù all’ospizio» (Transeuropa edizioni, 2023 — a cura di Francesco Addeo) e «Riflessi. Rassegna critica alla poesia contemporanea» (Edizioni progetto cultura, 2023 — a cura di Patrizia Baglione) e «Ogni sguardo su Milano» (Chiare voci ed., 2024). Sue poesie edite e inedite e note critiche alla sua opera sono state ospitate da numerose pagine letterarie e quotidiani (Morel – voci dall’isola, Salerno news 24, Emme24.it, Poetarum Silva, LucaniaArt Magazine, Pelagos Letteratura, Bibliovorax, JoiMag e altre). È stato intervistato da Luisa Cozzi nella puntata del 7.12.2023 di Poetando e delle sue poesie si parla tra l’altro su Poètica. Alcuni Poeti Viventi. È autore di numerose pre e postfazioni a raccolte di poesia contemporanea e collabora con numerose riviste letterarie. Fondatore caporedattore e curatore della pagina Le parole di Fedro, ivi propone alcuni dei suoi percorsi nel linguaggio poetico e narrativo, con particolare accento su un approccio, anche laboratoriale, al dialogo poetico. Avvocato milanese si occupa di diritto commerciale e di tutela dei minori. Studioso di meditazione ebraica ed estremo orientale, insegna cultura e meditazione ebraica in associazioni e scuole di formazione e tiene seminari sul valore simbolico dell’alfabeto ebraico.
*Grazia Frisina: Già docente di Lettere nelle scuole superiori. Le sue pubblicazioni: il romanzo A passi incerti (2009); il dramma poetico sulla Shoah Cenere e cielo (2015, messo in scena presso il museo della Deportazione di Prato), e Madri (2018), prefazione di Marinella Perroni, (tre pièces su alcune figure femminili del mondo biblico, dalla pièce Stabat Mater è stato realizzato un corto, girato nel carcere di Pistoia); le raccolte poetiche: Foglie per maestrale (2009), Questa mia bellezza senza legge (2012), Innesti (2016), Pietra su Pietra (2021), Avrei voluto scarnire il vento (2022), Storie senza approdo (2025), con illustrazioni dell’artista Edoardo Salvi. Il testo inedito Fiaba detta o fiaba scritta, a chi va storta a chi va dritta (2023) è stato messo in scena con la regia di Piera Rossi. Presso la biblioteca San Giorgio di Pistoia ha curato La gioia diventa un dipinto, incontro sulla poesia di Emily Dickinson, tra arte e musica (2014), e il dialogo poetico: Ricordi come raccoglievamo i narcisi, sulla storia d’amore fra Sylvia Plath e Ted Hughes (2015). Presso la casa-museo Guidi di Firenze ha ideato e curato il dialogo poetico Il mare nel vento – Unavoce dentro l’altra, sull’amore fra Elizabeth Barrett e Robert Browning (2017). Ha partecipato al festival di poesia Notturni di versi di Portogruaro (2016 e 2021). È presente, con alcuni suoi componimenti, in varie riviste letterarie nazionali e internazionali.

