In questa intervista di Gabriele Torchetti, ripercorriamo con Silvia Ballestra alcuni dei momenti salienti della sua variegata carriera di romanziera, saggista e giornalista. Dall’incontro con Tondelli nel ‘90 e dal romanzo d’esordio Il compleanno dell’iguana o dall’iconico personaggio di Antò Lo Purk, passando attraverso memorie giovanili, riflessioni sull’evoluzione del ruolo delle donne e i saggi su Joyce Lussu, arriviamo al suo ultimo lavoro da poco in libreria con Laterza, Una notte nella casa delle fiabe, con il quale si conferma come una delle autrici più originali del panorama letterario italiano. Ci racconta In particolare del suo viaggio personale e intellettuale nel cuore dell’universo dei fratelli Grimm, offrendo interessanti spunti sulla sua evoluzione di scrittrice e intellettuale.

Ciao Silvia e benvenuta a Il randagio. Facciamo un bel salto temporale nel tempo e torniamo al tuo esordio letterario nel 1991 con Il compleanno dell’iguana. Antò Lo Purk è un ragazzo abruzzese a cui sta stretta la vita di provincia e sogna il successo lontano da Montesilvano, arriva a Bologna e persino a Berlino, ma questo successo sembra non arrivare mai. In una vecchia intervista hai definito i personaggi del libro come frustrati e perdenti, in qualche modo allora ti sei riconosciuta anche tu in quello stato d’animo. A distanza di tantissimi anni, che ricordi hai di quel periodo e come ti senti oggi? Ti capita mai di ripensare a quegli scapestrati degli Antò, dove te li immagini adesso?
Ciao, grazie. In realtà non mi capita spesso di ripensare agli Antò letterari, più di frequente e proprio in questi giorni in cui ricorre il trentennale mi è capitato di rivedere scene del film che è stato tratto anni dopo e che ho scoperto essere diventato, lentamente, un cult per una generazione successiva. Non ne sapevo niente perché all’epoca non c’erano i social e perché è stato un fenomeno molto del centro Italia (credo romano, oltre che abruzzese). Stando a Milano non ne avevo avuto notizia. Inoltre il libro – i libri, visto che erano due – non vengono ripubblicati da un bel po’ (l’ultima edizione credo risalga al 2005 per Einaudi, da allora niente più ristampe) per cui anche nella mia vita sono rimasti indietro rispetto ad altri libri e altri percorsi che nel frattempo ho intrapreso. Lavorando molto sulla ricerca, si va avanti. E in generale non sono incline a nostalgie o ripensamenti del passato. Frustrati di sicuro, perdenti non lo so. Ho completamente perso l’aggancio con quel periodo, con quel mondo, che era Bologna negli anni ’90. La città stessa è cambiata, l’università è cambiata, la realtà è completamente stata stravolta da internet, da certo conformismo, da fenomeni epocali come la pandemia con cui dobbiamo ancora fare i conti e da mille altri eventi come il diritto allo studio che è venuto meno. Quello che ahimè non è cambiato è che c’è sempre la guerra, oggi più di allora. Ma adesso le voci alternative, la controinformazione, le proteste, sono soffocate da un conformismo micidiale. Questo impatta anche sulla creatività e sullo sperimentalismo. Insomma, oggi non ci sarebbe posto per narratori di un certo tipo (vedi lo scouting di Tondelli), perché non c’è nessuno veramente interessato alla voce dei giovani, a fare spazio, a dare ascolto. Forse succede nella musica, e infatti i risultati si vedono, ma non nella letteratura.
Comunque, visto che gli Antò si ispiravano anche a persone realmente esistenti (che vedo e seguo anche su facebook ahahaha), che dire? Veleggiano verso la sessantina, chi con figli e nipoti e chi no, alcuni sono rincoglioniti altri no, pochi hanno fatto carriera (non erano, per fortuna, programmati per questo), molti sono tornati in provincia e lì tirano avanti come tutti, come possono.
Nel 2008 hai scritto Piove sul nostro amore. Una storia di donne, medici, aborti, predicatori e apprendisti stregoni, un libro inchiesta sulla legge 194: campagne elettorali contro l’aborto, propagande violente pro-life, mullah ipercattolici del movimento per la vita e tante storie di donne che hanno abortito tra umiliazioni e vessazioni. Se dovessero ripubblicarlo adesso, nel 2024, quali sarebbero le tue note aggiuntive?
Non lo so, adesso su certi argomenti lascerei davvero la parola alle donne più giovani. Molti problemi posti dalla tecnica sono sul tavolo, in maniera ancora più complicata di prima. Mi sembra di poter dire comunque che in questo momento c’è una ripresa di consapevolezza. In generale, sull’argomento donne (se così si può dire), corpo delle donne, ruolo delle donne, rappresentanza politica eccetera, c’è ancora molto da lavorare ma bisogna farlo anche andando a riprendere un po’ di storia. Ci sono riflessioni, testi, storie, libri che non sono abbastanza noti, o che non si trovano più da anni. Sono parte di un patrimonio molto ricco e ancora “nuovo”, nel senso di fresco e alternativo, che è stato accantonato, tagliato fuori, oscurato, per mille motivi, come spesso succede con il sapere delle donne.

Joyce Lussu è sicuramente un punto cardine nella tua bibliografia: nel 1996 l’hai intervistata per il libro Joyce L. Una vita contro. Diciannove conversazioni incise su un nastro, il cerchio si è chiuso con la biografia La Sibilla. Vita di Joyce Lussu. Hai dedicato parole appassionate per lei: “è stata un tempo, un intero secolo, ed è stata un mondo”. Cosa ha rappresentato per te? Ha influito in qualche modo nella tua scrittura?
Sulla scrittura intesa proprio come stile non so, lei ha scritto prevalentemente poesia e saggistica e si è misurata con l’autobiografia, con una scrittura molto bella e limpida. Di sicuro nella sua ironia rintraccio una certa marchigianità che potrebbe essere comune a molti parlanti e pensanti del nostro territorio, una verve dissacratoria e “gioiosamente aggressiva” (uso questa sua espressione che mi piace molto: esempio sì di come abbia influito, come dico nel libro mi accorgo subito quando uso sue parole!) che caratterizza soprattutto i suoi pamphlet degli anni ’70. Comunque, tanto per dirne una, l’anglopescarese degli Antò deriva dall’anglomarchigiano di Joyce riferito ai suoi avi inglesi. Così come Fabio di Vasto falsario è ispirato a Joyce falsaria durante la Resistenza.
A proposito di sibille, di magie e incanti vari, è uscito da pochissimo Una notte nella casa delle fiabe, è una domanda che ti hanno già posto: “che c’entri tu con i Grimm”?
C’entro che c’era questa collana nuova di Laterza che prevede di mandare uno scrittore a passare una notte da qualche parte, nello specifico in un museo, e poi raccontarlo. Sono passata dal Grimmwelt, letteralmente il mondo dei fratelli Grimm di Kassel, e sono rimasta folgorata da questo museo costruito sulla lingua e sulle storie. Si è riattivata tutta una serie di ricordi, di letture fatte da piccola, di studi sulle lingue fatti all’università, di agganci con il presente, che mi hanno spinta a lavorare su una serie di piste suggerite proprio dalla visita al museo, che è un museo contemporaneo e vivo. Con opere d’arte legate a Documenta e un gran lavoro sulla filologia e sulle romantiche figure dei Grimm.
Il libro è nato da un’avventura solitaria in Germania, hai passato una notte da sola in un museo tra le stanze dei fratelli Grimm, al Grimmwelt a Kassel. Che cosa è successo?
Eh eh, si sono animate alcune cose che normalmente ci sembrano inanimate. È un percorso tra parole, voci, lingue. Vi si parla di traduzioni, streghe, narratori e narratrici, del lavoro delle donne, delle riscritture delle storie. Di animali che parlano, di intellettuali impegnati che hanno perso il posto in Università per restare fedele al loro ideale di libertà. I Grimm sono stati degli studiosi formidabili, il loro lavoro è un monumento alla ricerca. E alla libertà, come peraltro ha magnificamente raccontato l’antropologa Laura Marchetti in vari suoi libri e anche in un discorso politico molto forte che riguarda le strade delle fiabe, che uniscono e favoriscono scambi.

Il tuo saggio ha tre parole chiave: “Lingua”, “Strega”, “Scala”. Data la passione comune per la magia e l’incanto, vuoi dirci qualcosa in più su Strega?
Aiuto, ci ho scritto mezzo libro! Diciamo che le streghe di cui si parla qui sono le stesse fate e sono le donne emarginate e silenziate, le vittime della caccia che per decenni ha insanguinato l’Europa nel periodo di più furiosa misoginia e isteria collettiva, le depositarie di antichi saperi cancellati dai poteri maschilisti e patriarcali (vedi la Sibilla, nell’accezione di Joyce Lussu, appunto: una donna che conosceva benissimo la sua comunità, la medicina, la gestione dei beni comuni, cancellata dall’avvento di poteri spietati fondati su sfruttamento, accumulazione, schiavismo, tutti rigorosamente maschili).
Ormai sei un’esperta in materia, puoi consigliare alle amiche e agli amici del Randagio delle fiabe poco conosciute e da recuperare?
Le fiabe che ho letto con più stupore (perché non le conoscevo) sono quelle della filatura, cioè quelle che raccontano il lavoro delle donne. L’immaginario Disney, il più potente e glamour – attenzione, sono una grande fan di Disney! – ci consegna principesse canterine e scintillanti che si sposano con principi che arrivano a salvarle. Ma in realtà sono ragazze che lavorano (sia Biancaneve che Cenerentola sgobbano di brutto) e spesso sono loro con i loro lavoro a salvare fratelli e padri. Tra tutte citerei senz’altro “La signora Holle” perché Holle è una figura molto forte parente della nostra Befana, discendente da dee madri (e qui si torna alle streghe), e “Le tre filatrici” per il discorso sul lavoro delle donne. Ma in generale consiglio di leggere le fiabe dei Grimm nella prima versione (uscita in uno splendido volume Donzelli curato da Camilla Miglio) per scoprire come al centro delle fiabe ci sia sempre la famiglia e che famiglia! Una famiglia moderna e allargata, ricomposta, o cupissima, o spezzata… A mille ce n’è, come dicevano le fiabe sonore, e ce ne sono sempre state: non solo di storie ma anche di famiglie!
Gabriele Torchetti

Gabriele Torchetti: gattaro per vocazione e libraio per caso. Appassionato di cinema, musica e teatro, divoratore seriale di libri e grande bevitore di Spritz. Vive a Terlizzi (BA) e gestisce insieme al suo compagno l’associazione culturale libreria indipendente ‘Un panda sulla luna‘.

