Danza e Letteratura: “Giselle, il capolavoro del Balletto Romantico”, di Serena Cirillo

Il caso del balletto Giselle è del tutto particolare. Non si tratta di una coreografia che prende spunto da un’opera letteraria, il libretto è stato scritto appositamente per farne un balletto e non da un librettista di mestiere, bensì da un grande scrittore francese: Théophile Gautier. Esempio di come le arti si intersecano: la danza nasce dalla letteratura o dalla musica, e la letteratura nasce dalla danza e dalla musica. Gautier attraversò con la sua vita e la sua carriera quasi tutto il XIX secolo, un periodo politico e sociale molto tumultuoso in Francia che però nel campo artistico diede origine a tanta creatività e capolavori.  Personalità vivace ed eclettica, fu uno dei rappresentanti del romanticismo e punto di riferimento per molti movimenti letterari successivi come il Parnassianesimo, il Simbolismo, il Decadentismo e il Modernismo. Cominciò come poeta nel 1830 a 20 anni circa, in seguito all’incontro con Victor Hugo, per cui nutriva una grande ammirazione. Nonostante la giovane età, diede prova di avere già acquisito i modelli degli antichi e, cosciente della loro eredità, dimostrò una certa originalità usando una forma ben definita e una lingua precisa e chiara. Nel 1833 pubblicò una serie di racconti “Les Jeunes-France”, che rendevano in modo crudo la vita degli artisti e degli scrittori del Petit Cènacle; in quest’opera “barocca” Gautier fu testimone lucido e ironico dei “Précieuses Ridicules” del romanticismo. Dopo un paio d’anni cominciò la sua carriera di giornalista e contemporaneamente di romanziere; pubblicò la maggior parte dei suoi romanzi dal 1837 al 1866, tra cui Le roman de la momie, al quale si ispirò poi la trama del balletto “La figlia del faraone” del 1862. Per il giornale “La Presse” scrisse più di 2000 articoli come critico d’arte in una lingua chiara, sottile, impeccabile e brillante. Rivoluzionò il linguaggio della critica d’arte non limitandosi solo al giudizio, all’analisi, ma cercando di ricreare il giusto sentimento estetico. Il suo obiettivo era rendere con le parole le sensazioni visive e musicali suscitate dalla percezione diretta dell’opera d’arte, sia figurativa che performativa. Questo compito di cronista fu la sua missione per tutta la vita e fu recensore dei principali balletti andati in scena a Parigi fra il 1836 e il 1871, molti dei quali entrati nei classici della storia della danza.

Artista eclettico, poeta, scrittore, giornalista, critico d’arte e di danza, animato da una profonda ammirazione per la danzatrice Carlotta Grisi, concepì per la prima volta nel 1841 una storia che sarebbe diventata la trama di un balletto. Aveva appena letto il saggio critico “De l’Allemagne” di Heinrich Heine ed era rimasto colpito dalla vicenda delle “Villi”, spiriti irrequieti delle fanciulle tradite e morte prima delle nozze, le cui anime sono destinate a danzare nelle notti di luna piena per vendicarsi dell’amato traditore. Quest’opera, insieme al poema “Fantomes” di Victor Hugo, gli diedero l’idea per la trama di Giselle, elaborata insieme al drammaturgo Jules Henri-Vernoy de Saint-Georges. In poco tempo fu scritta la storia basata su temi come l’amore eterno e impossibile, la morte e la follia. Adolphe Adam, incaricato di comporre le musiche, terminò il lavoro in soli 8 giorni in stretta collaborazione con gli autori del libretto. Gli autori vollero Jules Perrot per le coreografie, scelta contrastata dai vertici dell’Opera National di Parigi che preferirono Jean Coralli, per cui si decise che Coralli avrebbe curato le scene nell’insieme, mentre Jules Perrot avrebbe ideato i passi della ballerina interprete principale. La figura che incarnò perfettamente il ruolo di Giselle fu Carlotta Grisi, giovane ballerina italiana che, grazie al talento e alla fisicità luminosa catturò l’attenzione di Perrot che divenne suo maestro e partner nella vita. Il balletto ebbe un tale successo in tutta Europa che la Grisi divenne la star indiscussa di Giselle, interpretando il ruolo che Gautier aveva concepito come emblema della danza romantica. 

Il balletto fu concepito in due atti: il primo si svolge in una cittadina medievale tedesca dove Giselle, giovane contadina, si innamora di Albrecht, un duca che si finge contadino per corteggiarla. Quando Giselle scopre che è già promesso ad un’altra, la sua reazione è devastante: il dolore per il tradimento la spinge alla pazzia e la giovane, all’apice della disperazione, muore. Questo primo atto è l’espressione più concreta e realistica della drammaticità romantica, una storia d’amore, tradimento e disperazione che culmina nella morte dell’eroina. Il secondo atto è un viaggio tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Giselle emerge dalla sua tomba come un’apparizione eterea e il suo spirito si unisce alle Villi, fantasmi di giovani donne morte per amore. In un paesaggio notturno gelido, le Villi danzano e per punire gli innamorati che le hanno tradite, li costringono a danzare fino alla morte. Il finale tragico vede Albrecht, pentito, destinato a danzare fino alla morte con lo spettro di Giselle, che però lo ha perdonato e cerca di intercedere presso la regina delle Villi, Myrtha, per salvargli la vita. Essendo la regina irremovibile nella condanna, Giselle lo salva con le sue forze sostenendolo ogni volta che, nella danza, vacilla e rischia di cedere. Alla fine, la vita di Albrecht è salva grazie a Giselle, che riesce a farlo danzare fino all’alba, quando l’incantesimo si rompe e le Villi scompaiono. Il balletto si chiude sull’immagine solitaria del giovane, salvato e riscattato da un amore che ha compreso troppo tardi.

Il balletto romantico, che vede la sua massima espressione in Giselle, segna un profondo cambiamento nel panorama della danza. Se prima era caratterizzato da temi aristocratici, ora si sposta completamente sulla figura femminile, esplorando mondi interiori, sogni e immaginazione. Il corpo della ballerina diventa veicolo per esprimere emozioni complesse, desideri e visioni, e il balletto si fa poesia visiva. Giselle non è solo una tragedia in senso classico, ma una sorta di sogno danzato. La ballerina non è più una figura teatrale fine a sé stessa, ma simbolo di mistero e bellezza; icona romantica, è al centro di un cambiamento epocale che segna la nascita del balletto moderno, dove la tecnica e l’espressione personale diventano protagoniste di una narrazione capace di toccare il cuore del pubblico. E sicuramente ci riusciranno le étoiles del teatro San Carlo di Napoli, che porteranno in scena Giselle dall’8 al 14 novembre 2025.

Serena Cirillo

Serena Cirillo: Laureata in Lingue e Letterature Straniere, già docente di comunicazione istituzionale al Consolato Americano di Napoli, specializzata in didattica dell’Italiano agli stranieri. Giornalista e critico di danza per il ROMA, Corriere dello Spettacolo e Cityweek. Redattrice della rubrica Danza e Letteratura sulla rivista letteraria “Il Randagio”.  Responsabile Stampa del Festival di danza Anima Flegrea. Senza aver mai smesso di studiarla, scrive, anzi narra di danza in tutte le sue forme.

Danza e Letteratura: “Onegin”, di Serena Cirillo

Balletto drammatico, struggente e incantevole quello tratto da uno dei capolavori del romanzo russo: “Eugenij Onegin”, opera di Aleksandr Puskin che ha segnato una svolta decisiva nell’universo della letteratura russa del XIX secolo, tanto da essere definito “uno sparo nella notte” dalla critica moderna.

Iniziato da un giovane scrittore  definito “l’ enfant prodige della poesia” nel 1823, il romanzo in versi fu pubblicato dieci anni dopo da colui che nel frattempo era diventato uno scrittore maturo e di successo.

Eugenij Onegin è la storia di uno spreco, di una storia d’amore mancata, un lieto fine negato, diventato poi modello del grande romanzo realistico russo. Il personaggio principale dà il titolo all’opera che nei suoi otto capitoli narra la storia di un tipico dandy dell’Impero zarista, scettico e disilluso, cinico e annoiato dalla sua vita oziosa. Viziato e vanesio solo apparentemente, perché in realtà il suo atteggiamento beffardo cela un profondo dolore esistenziale. Ricco giovin signore di città, in occasione di una vacanza nella sua tenuta di campagna conosce il poeta Lensky, romantico e idealista, fidanzato con Olga, che si dimostra subito gentile e generoso con lui e lo invita ad accompagnarlo ad un ricevimento a casa della fidanzata. Là Onegin incontra la sorella di Olga, Tatiana, che si innamora a prima vista di lui, affascinante sconosciuto, tanto da scrivergli una lettera in cui gli dichiara il suo amore.  L’arroganza porta Onegin ad essere persino sgarbato; non solo strappa la lettera della ragazza davanti a lei, ma comincia persino a flirtare con Olga, dando un grosso dispiacere sia a Tatiana che a Lensky. Quest’ultimo, visibilmente infastidito, lo sfida a duello nonostante le due donne lo supplichino di rinunciarvi, e viene ucciso.  Alcuni anni dopo Onegin ad un ricevimento incontra per caso Tatiana, che nel frattempo ha sposato un principe ed è diventata un’elegante nobildonna di città. Il suo nuovo fascino provoca molti rimpianti a Onegin, che si rende conto dell’errore commesso quando la rifiutò e trova il modo di confessarle il suo amore sperando di poterla recuperare, ma è troppo tardi. Tatiana, sebbene, in segreto, ancora innamorata di lui, preferisce restare fedele a suo marito. Stavolta sarà lei a strappare la lettera che Eugenij, pentito, le aveva scritto e gli ordina di andarsene per sempre.

Una personalità distruttiva quella del protagonista, che lo porta a rifiutare prima l’amore di Tatiana, poi l’amicizia sincera del fedele Lensky. Un male di vivere insanabile che lo condanna all’eterna infelicità. La sensibilità ancora tipicamente romantica, in queste pagine si apre ad un profondo realismo, offrendo al lettore un affresco straordinario dell’epoca di Puskin con i suoi ideali, conflitti e pregiudizi, e mostrando l’evoluzione del pensiero dell’autore durante gli otto anni di stesura del poema/romanzo.  In virtù di queste peculiari caratteristiche, Il critico Belinskij definì l’Onegin “un’enciclopedia della vita russa”. Lo stile innovativo e multiforme di Puskin dà inoltre una forte connotazione alla lingua, che dispiega, forse per la prima volta, le sue infinite capacità espressive, tanto da fargli meritare il titolo di fondatore della lingua letteraria russa contemporanea.

Sebbene postumo, il successo del romanzo fu tale da ispirare un’opera lirica che fu commissionata a Tchajkovskij nel 1877 e, a distanza di circa un secolo, un balletto, capolavoro di John Cranko, considerato tuttora uno dei più struggenti della storia della danza. Il grande coreografo sudafricano fu incaricato di curare le coreografie per l’allestimento dell’opera “Onegin” nel 1952 a Londra. Innamoratosi della storia, propose di crearne un balletto, ma la sua proposta non fu accettata. Cranko non abbandonò il suo progetto e, dopo essere stato nominato coreografo del balletto di Stoccarda, tornò a lavorarci chiedendo al direttore d’orchestra Heinz Stolze di arrangiarne la musica. Stolze usò vari pezzi di Tchaikovskij ma nessuno tratto dall’opera; il risultato fu sorprendente e il balletto andò in scena per la prima volta, a Stoccarda, nel 1965. Migliorato e arricchito, fu rappresentato a New York nel 1969 nella versione definitiva, quella che è entrata nel repertorio della danza classica come uno degli esempi più riusciti di balletto drammatico, ed ebbe un successo straordinario.

Appena andato in scena al teatro dell’Opera di Roma, il balletto “Onegin” non ha tradito le aspettative di un pubblico esigente e preparato. Con la supervisione coreografica di Reid Anderson, assistito da Yseult Lendvai, il balletto in tre atti e sei quadri ha permesso di esaltare le peculiarità interpretative del corpo di ballo nelle danze d’insieme e degli interpreti principali. La prima ha visto protagonisti l’étoile scaligera Nicoletta Manni nel ruolo di Tatiana, Friedman Vogel, étoile del balletto di Stoccarda nel ruolo di Onegin, e Susanna Salvi e Alessio Rezza, dell’Opera di Roma, nei ruoli rispettivi di Olga e Lenskij. Nelle recite successive gli interpreti sono stati le étoiles di casa. Particolarmente rilevante lo struggente passo a due del terzo atto, in cui Rebecca Bianchi e Claudio Cocino hanno strappato applausi a scena aperta e ovazioni del pubblico a conclusione dello spettacolo per la potenza drammatica e la forza realistica della loro interpretazione. Le due étoiles dell’Opera hanno saputo coniugare perfettamente espressività e perfezione tecnica, regalando agli spettatori commossi quelle emozioni uniche tipiche del genere.

Nel prossimo mese di giugno, il balletto “Onegin” sarà rappresentato al San Carlo di Napoli.

Serena Cirillo

Serena Cirillo: già consulente per la comunicazione istituzionale al Consolato Americano di Napoli. Giornalista pubblicista, traduttrice, scrittrice, ghost writer. Laureata in lingue e letteratura, specializzata in didattica della lingua italiana agli stranieri. Esperta di letteratura, arte e spettacolo; scrive, anzi narra, di teatro, musica, arti figurative e soprattutto di balletto classico. Ha pubblicato racconti in antologie e ha in cantiere un romanzo ambientato nel mondo della danza. Scrive sulla pagina culturale del quotidiano Cityweek e della rivista Le Sociologie