“La Signora” così semplicemente era nominata, forse per quella soggezione che ispirava, mista ai modi spicci e a un piglio risoluto non poco in contrasto col suo fisico minuto. Ma l’appellativo derivava anche e soprattutto dall’ammirazione che Maria Bakunin, illustre chimica napoletana, ché di lei parliamo, ispirava, grazie a quella conoscenza delle misteriose e complesse concatenazioni capaci di tenere assieme sostanze ed elementi diversi e distanti. E lei, Marussia per i familiari, di distanze se ne intendeva visto che dalla lontana Siberia, dove era nata nel 1873, era approdata a Napoli. E qui sarebbe vissuta – fino alla fine dei suoi giorni, nel 1960 – assieme alla madre e ai fratelli, compiendovi quegli studi che l’avrebbero portata a essere la prima donna in Italia a laurearsi in chimica e anche la prima a conseguire una cattedra universitaria. E se Maria visse lontana da quel padre fisicamente e ideologicamente ingombrante e da molti temuto, Michail Bakunin, il grande teorico del pensiero anarchico, la giovane ebbe modo di crescere e maturare la sua formazione di donna e di studiosa all’ombra di quel monte altrettanto ingombrante e temuto: lo Sterminator Vesevo.

Proprio dall’ eruzione del Vesuvio del 1906 prende le mosse Mirella Armiero per raccontarci nel suo volume Un pensiero ribelle. Maria Bakunin la Signora di Napoli (Solferino) i momenti salienti della vita familiare e professionale della Bakunin.
E lo fa, la Armiero, mettendo le sue comprovate doti di giornalista – attenta alla verifica e alla documentazione – a servizio di una accattivante vena narrativa e di una scrittura fluida e agevole pur nel trattare situazioni complesse ed eterogenee (storiche, scientifiche, politiche…). Ciò appare evidente fin dalle succitate prime pagine, grazie al racconto dettagliato e ad ampio raggio di quella terribile eruzione. Mentre la Napoli che contava era infatti in fermento per l’attesa prima assoluta al San Carlo della Tess di Frédéric Alfred d’Erlanger, che da un mese soggiornava in città per allestire l’evento, il Vesuvio iniziava a ruggire e ribollire. E quando il 9 aprile lo spettacolo va finalmente in scena dopo un rinvio sempre dovuto alle intemperanze vulcaniche, i luccichìi degli abiti da sera delle dame verranno offuscati dai più sostanziosi e tristi bagliori della Montagna che erutta costringendo gli abitanti di interi paesi a fuggire lontano.
A osservare la situazione, quasi a monitorarla, tra i tanti, italiani e stranieri, scienziati e semplici curiosi accorsi, da segnalare anche la presenza di due donne, entrambe poderose nel proprio campo e che seguono la situazione con occhi e interessi diversi. Una è la Signora del giornalismo, Matilde Serao, all’epoca direttrice del <<Giorno>>, interessata ai risvolti sociali e cronachistici dell’evento, l’altra è la Signora della Chimica, che si muove per curiosità preminentemente scientifiche.
Ma certo la Bakunin non si interessò mai solo ed esclusivamente di scienze, vivendo in ambienti ideologicamente e culturalmente impegnati; inoltre, anche se il padre Michail, col quale aveva condiviso solo i primissimi anni dell’infanzia, morì distante dalla famiglia quando Maria era ancora molto piccola, lei coltiverà sempre un affetto che si farà quasi venerazione per quell’uomo dal forte appetito e dalle forti passioni, che continuò a considerare suo padre sebbene fosse figlia naturale (lei e gli altri tre fratelli) dell’avvocato Carlo Gambuzzi, con cui la moglie di Bakunin ebbe una storia lunga e complicata che si concluderà con le nozze celebrate sempre a Napoli tre anni dopo la scomparsa di Michail: il quale a sua volta era a conoscenza del legame fra il Gambuzzi e la sua giovane moglie Antonia, ma applicò anche alla sua vita privata quei principi di massima libertà che predicava in politica, lasciando alla consorte piena autonomia di decisione e quindi di azione in campo sentimentale. E per comprendere meglio lo spirito e gli ideali che informarono il grande filosofo dell’anarchismo – l’ “idealista sentimentale”, lo aveva definito Marx – la Armiero offre un’ampia e illuminante digressione, trasportando il lettore in altri luoghi e in altri anni: precisamente nella Russia della prima metà dell’800, dove Michail trascorse un’infanzia serena e agiata in una ampia casa circondata da giardini e riscaldata dall’affetto di ben undici tra fratelli e sorelle. Ma presto il suo spirito irrequieto e l’ardore rivoluzionario, spiega la Armiero, lo spingeranno in altri luoghi e all’elaborazione di un pensiero rivoluzionario. E’ l’inizio della storia dell’ideologia anarchica. Ma non fu certo solo un teorico, Bakunin: lo spirito irrequieto e l’ardore che l’animavano lo videro impegnato in prima linea in diversi moti e rivolte che infiammavano gli anni Quaranta del Diciannovesimo secolo e che gli costarono prima alcuni anni di carcere duro a San Pietroburgo e poi un esilio in Siberia. Qui conobbe la giovanissima Antonia, appena diciassettenne ma ragazzina di carattere, tanto da decidere di sposarlo, malgrado il parere contrario della famiglia, e di seguirlo nella sua turbolenta e disordinata esistenza, che li condusse anche a Napoli una prima volta nel 1865: i due trascorsero un periodo sereno nella città che da pochi anni aveva perso il titolo di capitale di un regno e che Michail ebbe modo di amare, anche perché gli appariva come la più anarchica fra le città europee – e forse non si sbagliava, se si pensa che il primo attentato a opera di un anarchico (il terzo gli sarebbe stato fatale), re Umberto lo subì proprio nella città campana nel 1878. Proprio negli anni napoletani, Bakunin cominciò ad approfondire ed elaborare il suo pensiero, distaccandosi progressivamente dal marxismo e valutando il fallimento del Risorgimento italiano che non aveva saputo colmare il divario economico e sociale del Paese. Ed è sempre qui che Antonia conobbe Carlo Gambuzzi, sodale di Bakunin e suo compagno di molte battaglie; dalla lunga, discontinua relazione fra Carlo e Antonia nasceranno ben quattro figli che continueranno a mantenere il cognome del rivoluzionario russo anche dopo la morte di Michail e le nozze dei genitori: Gambuzzi si ritagliò un ruolo di padre presente e affettuoso ma defilato, rispettando e incoraggiando le scelte di vita e di studi dei ragazzi: Maria si dedicherà alla chimica, mentre la sorella Sofia si iscrisse alla facoltà di Medicina che in Italia solo da poco era diventata accessibile alle donne.
Ma Marussia non vanta solo illustri ascendenti: non è da dimenticare che, grazie alle nozze della sorella Sofia col noto medico Giuseppe Caccioppoli, diverrà zia del grande matematico Renato, al quale il regista Mario Martone nel ’92 ha dedicato il film Morte di un matematico napoletano, alla cui sceneggiatura fornì un fondamentale contributo la scrittrice Fabrizia Ramondino: alla quale – a riprova che non solo nella Fisica tutto si tiene – la stessa Mirella Armiero ha dedicato un recentissimo volume , Bagaglio leggero. Viaggio nei luoghi di Fabrizia Ramondino (Nutrimenti) realizzato assieme a Francesco Paolo Busco.

Ovviamente, il grosso del volume è incentrato sulla Signora della chimica, sulle sue scelte professionali e anche sentimentali sempre libere e coraggiose, frutto di quel pensiero ribelle che contraddistingue lei e altri membri della famiglia: “La vita di Maria, all’apparenza cristallina e rettilinea, è stata piena di contraddizioni, probabilmente di dubbi, – spiega Armiero – che la rendono molto più autentica di quanto non appaia attraverso il mito di scienziata integerrima e severa, pioniera nel cammino di affermazione delle donne”. La scienziata coltivò molti interessi, oltre a quelli connessi alle sue discipline, anche grazie ai sodalizi che dal campo scientifico si allargavano a quello sentimentale: così accadde col suo professore e mentore Agostino Oglialoro Todaro che divenne suo marito, e poi col chimico Francesco Giordani, di ben ventitré anni più giovane di lei.
La curiosità d’altronde non le manca e ne fa una studiosa non sedentaria: numerosi sono i viaggi di lavoro che intraprende, come quelli che nel 1913 la portano, su incarico del ministro Nitti, a osservare le metodologie didattiche degli istituti tecnici industriali e commerciali del Belgio e della Svizzera; e poi gli Stati Uniti, in lungo e in largo, assieme a quel Francesco Giordani, che forse ha il potere di rallegrarla col suo entusiasmo e quella fiducia nelle magnifiche sorti e progressive del mondo e dell’Italia. Una fiducia che lo avrebbe portato negli anni ad aderire al regime fascista e ad assumervi incarichi di prestigio, pur serbando la convinzione che gli studi scientifici si sarebbero mantenuti scevri da condizionamenti politici e che anzi proprio il fascismo li avrebbe favoriti e sostenuti in nome di quei principi autarchici che Mussolini voleva vedere applicati anche in ambito chimico e tecnologico. Invece la Signora e ormai sua compagna di vita Maria, non prende posizione ma certo quel cognome e il suo rifiuto del distintivo e del saluto fascista prima delle lezioni universitarie non la pongono in una situazione ideale: situazione che si complicherà ulteriormente con l’ostentata ostilità al regime e certe azioni provocatorie manifestate dall’amato nipote, il geniale, ironico e dichiaratamente antifascista, Renato Caccioppoli.
Il libro della Armiero, dalle vicende personali e familiari della Bakunin, si allarga al racconto, accurato e documentato – e l’ampia bibliografia finale ce lo conferma – della città e di più di una generazione di intellettuali, filosofi , scienziati che animavano Napoli, facendola centro di dibattiti di fondamentale importanza e di progresso: si pensi alle riunioni all’Accademia Pontaniana, di cui Maria fu inizialmente socia e per poi divenirne presidente, dopo la guerra: rimanendo prima e unica donna posta alla guida della prestigiosa istituzione. O si pensi, anni prima, alla frequentazioni di quel Circolo Filologico di via San Sebastiano, fondato da Francesco De Sanctis e poi diretto dall’ancora giovane ma già autorevole Benedetto Croce, dove uomini ma soprattutto numerose donne, con grande meraviglia finanche della Serao che pure lo frequentava, accorrevano ad ascoltare dibattiti accesi e anche audacemente progressisti.
E in effetti, uno degli aspetti che rendono prezioso questo libro è proprio questa narrazione di una Napoli fuori dagli stereotipi e dai cliché, per nulla provinciale, capace semmai di coniugare tradizioni e riti ancorati al passato con fermenti e idee che spesso, ma non solo, vengono da fuori, portati da personaggi di gran calibro che a Napoli hanno soggiornato e lavorato. Si pensi ad Anton Dohrn che nel 1873 all’interno della Villa comunale fonda la Stazione zoologica, poi con annesso acquario, destinata a diventare un centro di studi internazionale e all’avanguardia. Ma soprattutto Armiero ci illumina, in molte pagine del volume, circa una attiva, intraprendete, progressista presenza femminile operante nella città partenopea: è il caso della scrittrice svedese Anne Charlotte Leffler, moglie del celebre matematico Pasquale Del Pezzo, con cui aveva aperto un salotto intellettuale nell’abitazione di via Tasso e alla quale va il merito (oltre che di aver scandalizzato col suo divorzio in terra scandinava i benpensanti del tempo) di aver contribuito a far conoscere il teatro di Ibsen, che proprio in luoghi ameni del nostro territorio, Sorrento e Amalfi, aveva composto due dei capolavori della sua drammaturgia, Gli spettri e Casa di bambola. E ancora Mirella Armiero ci parla di Emily Reeve, figura quasi ignorata, eppure questa intraprendente garibaldina venne qui su incarico della pedagogista Julie Schwabe per aprirvi una scuola destinata ai bambini poveri, e qui trovò la morte durante l’epidemia di colera del 1865 accudita amorevolmente fino agli ultimi istanti da Antonia, la moglie di Bakunin che in quegli anni a Napoli soggiornava assieme allo stesso Michail. Ma Antonia era solo una delle tante donne russe presenti in città a cavallo dei due secoli (alcune di loro vi giungeranno in fuga dalla madrepatria dopo la Rivoluzione d’ottobre), che ben si inserivano in un contesto cittadino saldo e operoso di personalità colte e internazionali.
È su tale fondale policromo che cresce, si forma e lavora Marussia. E se è vero , come scrive l’autrice, che col trascorrere dei decenni la sua figura è rimpicciolita e sbiadita anche per i nuovi traguardi che si sono raggiunti nell’ambito delle scienze, del progresso sociale e dell’emancipazione femminile, tanto più prezioso appare questo libro proprio perché a tracciare un sentiero verso tali traguardi ha contribuito non poco – con l’impegno coraggioso, con l’intraprendenza professionale e sentimentale, in una parola, col suo pensiero ribelle – Maria Bakunin, la piccola grande Signora della Chimica.
Bernardina Moriconi

Bernardina Moriconi: Filologa moderna, Dottore di ricerca in Storia della Letteratura e Linguistica Italiana, giornalista pubblicista e docente di materie letterarie, ha insegnato fino al 2018 Letteratura italiana e Storia a tecniche del giornalismo presso l’Università “Suor Orsola Benincasa”. Ha pubblicato libri sulla letteratura teatrale e svolge attività di critico letterario presso quotidiani e riviste specializzate. E’ direttore artistico della manifestazione “Una Giornata leggend…aria. Libri e lettori per le strade di Napoli”.

