Marzio Mori: “Arte e Carattere” (Volumnia Editrice), di Mauro Di Ruvo

Se mai nessuno l’aveva fatto, ebbene lo ha anticipato Marzio Mori, riuscire a parlare di arte coniugandola con il suo apparente opposto: il carattere. 

Il suo nuovo libro infatti si intitola proprio Arte e Carattere, ma con una precisazione che troviamo poco più avanti nella sovraccoperta: Dalla città ideale alla strada di Delft. Viaggio nelle certezze e nelle angosce dell’uomo moderno. Un libello di sole 63 pagine, bibliografia esclusa, edito a Perugia quest’anno dalla Volumnia Editrice che ha la superba mira di attraversare tutta la storia dell’arte in una veste non monocromatica e specialistica, bensì di ripercorrere a grandi tratti ma affondando il coltello dello storico in piccole profonde pieghe per Mori significative al rapporto arte-carattere.

L’autore di Alfagemo (Aletti Editore, 2008) non ha abbandonato la soglia dello spazio storico-artistico, anzi ha aperto la porta a una nuova considerazione sullo stato antropologico delle diverse stagioni cronologiche che più affascinano lo spettatore moderno e odierno. 

È stata dunque messa in dubbio quella monotonia della “classicità” che ha fatto intermittenza a blocco nella trasmissione secolare della intera letteratura sin dai tempi dell’onciale romana.

Una delle molteplici domande che Marzio Mori si pone, ma forse quella principale,  è in quale misura ciò che chiamiamo “percezione classica”, ossia senso del “classico”, abbia potuto contaminare il progresso della storia (non solo dell’arte) verso una attualità che si sente già in debito con l’Intelligenza Artificiale. Ma soprattutto se sia questa la deriva più diretta proprio della nostra tradizione umanistica o di quella meno umanistica, e fratta al suo interno della religiosità. 

Il narratore parla di “retaggio cristiano-umanistico” per esemplificare lo scontro di una enorme nave contro le sue stesse scialuppe su cui ci stiamo imbarcando, noi “amatori e professori”, quasi fuggitivi dal mostro della bellezza che abbiamo pasciuto tutto questo tempo. 

La sequenza con cui vengono narrate le varie opere più rappresentative di un Tardogotico giottesco, di un Rinascimento raffaellesco, d’un Umanesimo fiammingo, o piuttosto d’un Manierismo veneto, è molto serrata nel ritmo logico e rapida, tale da richiedere al lettore uno sforzo immaginativo per figurarsi davanti agli occhi i tumulti degli ordini francescani nella Roma bembiana, lo sgomento della gente che assiste al rogo di Giordano Bruno, o i tormenti interiori di un Caravaggio che traspone l’icona dell’eretico Bruno nella Chiesa di San Luigi dei Francesi. 

L’originalità che però maggiormente demarca la posizione di questo libello è la sua capacità di far capire l’arte senza troppi retoricismi accademici anche ai non addetti ai lavori attraverso proprio una concentrazione quasi “entropica”, cioè di taglio fisico-psicologico, sull’origine di alcuni capolavori che tutti conosciamo, come la Canestra di Frutta di Caravaggio, che qui è brillantemente descritta e spiegata proprio parlando della renovatio morale introdotta dal Furioso dell’Ariosto.

Due binari, letteratura ed arte, che non sono stati mai separati, ma anzi nati dallo stesso parto gemellare, e questo libro ne continua a darcene la più lucida e verace conferma.

Dalla rivoluzione di  Giotto alla reazione di Manzoni, dall’eroicità di Raffaello alla concinnità di Rubens, l’occhio umano può riuscire a curare la miopia della perfetta intelligenza artificiale per non inciampare nella strada in discesa del futuro.

Mauro Di Ruvo

Mauro Di Ruvo: Critico d’arte, classicista e medievista, si occupa di diritto romano a Perugia e di politica interna presso il giornale “Lanterna”. Si è anche occupato di Estetica cinematografica e filosofia del linguaggio audiovisivo a Firenze presso la storica rivista “Nuova Antologia” e collabora con la Fondazione Spadolini. È autore del romanzo Pasqualino Apparatagliole (2023, Delta Tre Edizioni), e curatore della recensione al libro Oltre il Neorealismo. Arte e vita di Roberto Rossellini in un dialogo con il figlio Renzo di Gabriella Izzi Benedetti, già presidente del Comitato per l’Unesco, per la collana fiorentina “Libro Verità”. Ha già curato per la “Delta Tre Edizioni” le prefazioni alla silloge Lo Zefiro dell’anima (2019) di Pasquale Tornatore e al romanzo Le memorie del dio azteco (2021) dello storico Saverio Caprioli. A Ottobre 2024 ha tenuto e curato il convegno accademico “L’eidolon di Dante. Il codice dell’Inferno” a Foligno e nella Chiesa del Purgatorio recentemente è stato relatore della lectio magistrali “Dante, l’Inferno, Saffo”.

Alferio Spagnuolo: “Mille motivi per un assassinio” (Robin Edizioni), di Vincenzo Vacca

In genere, quando iniziamo a leggere un giallo, ci aspettiamo una narrazione già in qualche modo strutturata: uno o più omicidi, un investigatore brillante e, infine, la individuazione della persona che ha commesso l’assassinio o gli assassinii. Naturalmente, possono esserci delle varianti, ma sostanzialmente è quello che ci aspettiamo. 

Invece, Alferio Spagnuolo con il suo libro “Mille motivi per un assassinio” sorprende positivamente il lettore, perché delinea con molta originalità il contesto ambientale ed esistenziale in cui maturano gli omicidi. 

Restituisce una serie di dinamiche relazionali attraverso le quali l’ omicidio viene pensato, attuato e reso quasi “legittimo” nella coscienza dei responsabili.

Il libro è ambientato a Napoli,  ma non una Napoli da cartolina o da “pizza e mandolino” con la tipica descrizione della città per la quale non possono mancare il mare, il sole, etc..

È una Napoli plumbea, vitrea, quasi a voler efficacemente ambientare dei rapporti umani ridotti al lumicino, scarnificati, retti da interessi molto terreni o da perniciose passioni.

Questo rende più chiara la narrazione del male, rispetto al quale nessuno può dichiararsi completamente estraneo, lontano dal proprio stile di vita.

Credo che Spagnuolo ci parli di un mondo del crimine che è specchio dell’ immaginario collettivo. 

Un immaginario costituito troppo dalla competizione, dal successo,  dalla voglia spasmodica di arricchirsi senza alcun scrupolo né di ordine etico, né di ordine giuridico.

Anche le eventuali proprie conseguenze di carattere penale, nella coscienza collettiva e/o personale, passano in secondo piano. Manco la paura della galera che pure dovrebbe essere una forte deterrenza, paragonata alla possibilità (non alla certezza) di evitarla, non fa da filtro alla decisione di commettere un reato efferato. 

Spagnuolo esagera con il suo giallo? Non direi, considerando quello che succede da diversi anni e tutti i giorni nella vita reale. 

Anzi, possiamo senz’altro condividere la considerazione per la quale la realtà ha superato l’ immaginazione. 

Per ovvi motivi si eviterà di anticipare tante cose del libro, ma è opportuno provare a offrire una chiave di lettura,  ancorché non esaustiva, del testo. Non si può non fare riferimento,  infatti, ai dialoghi che emergono dalla lettura del libro.

A mio parere, l’autore, attraverso delle riuscite pennellate letterarie, sottolinea la caduta verticale di tutto ciò che dovrebbe caratterizzarci come esseri umani. 

L’ uomo ridotto solo a far di calcolo, volto esclusivamente o quasi a stabilire ciò che è utile o meno per sé stesso.

Sembra che l’ autore voglia dirci che, se il denaro diventa l’ unico mezzo per acquisire beni e/o soddisfare bisogni, il denaro cessa di essere un mezzo e diventa l’ unico fine con il quale si vedrà eventualmente di ottenere dei beni e/o appagare bisogni.

Una vita umana ridotta a calcolo e che si illude di poter fare a meno della bellezza, della fantasia, di uno sano sguardo per l’altro. 

Credo che non sia un caso che Spagnuolo, pur avendo un protagonista principale nella figura di un commissario di polizia, in realtà, il suo libro ha una coralità di protagonisti, la cui descrizione e il cui operato delineano, a volte chiaramente a volte sotto traccia, lo stato del degrado valoriale. 

Spagnuolo non divide i protagonisti in buoni e cattivi, sia per quanto riguarda i poliziotti sia per quanto attiene i sospettati.

Egli fa una operazione molto più profonda con il suo giallo, facendoci percepire il male che non è allocato in una determinata persona o in uno specifico ambiente.

Infatti, nel libro in argomento vengono narrate delle operazioni di polizia svolte molto oltre i limiti di legge, e questo ci porta a riflettere sulla estrema delicatezza del concetto di giustizia. 

Una “giustizia” può molto facilmente trasformarsi in “ingiustizia” se fa propria la malsana idea che il fine giustifica i mezzi. I mezzi qualificano il fine e quest’ ultimo viene meno se non si prova a raggiungerlo con la mitezza del diritto moderno.

È il caso di evidenziare che il male, in tutte le sue declinazioni, ha un suo fascino e per questo tutti, in qualche modo, devono farci i conti scegliendo il giusto comportamento.

Il libro di Alfiero Spagnuolo è denso di colpi di scena, cattura e sorprende il lettore. Suscita la voglia di non sospendere la lettura per capire come, di volta in volta, si sviluppano le vicende. Vicende spesso aggrovigliate tra loro. 

Un giallo a tutto tondo, ma che non rinuncia a far riflettere, a porci delle domande, a insinuare dei dubbi. Insomma, a fine lettura ci induce a interrogarci ancora sullo stato della società nel suo complesso. Una fine lettura che può costituire un inizio, perché esaurite le dinamiche fattuali degli eventi delittuosi raccontati nel libro, proseguono nella mente del lettore le dinamiche che hanno reso possibili gli eventi in questione.

Abbiamo di fronte un libro che non ci rassicura, sulla scia della buona letteratura che non deve tranquillizzare le persone sul periodo storico che ci tocca vivere. L’ arte letteraria deve provare a fare luce sulle zone d’ ombra e, si sa, l’ ombra a tutti capita che si formi, di giorno e di notte.

Vincenzo Vacca

Dal sito di Robin edizioni:

Il napoletano Alferio Spagnuolo esordisce nel 1987 con il romanzo “Nucleo impenetrabile” (Società editrice napoletana).

Il libro reca la dicitura “giallo a quattro mani” perché scritto in coppia con il poeta, nonché padre dell’Autore, Antonio Spagnuolo, con cui ha pubblicato nel 2006 il giallo napoletano “L’ultima verità” (Kairòs Edizioni, prefazione di Maurizio De Giovanni).

Nel 2017 esce la raccolta noir “Tra il nero e il rosa, racconti per una notte” (Aletti Editore).

Due racconti sono stati pubblicati nell’antologia Giallo Festival: “Nel paese delle meraviglie” (2020) e “Nel vortice della perdizione” (2023).

La collaborazione con Robin Edizioni ha inizio nel 2016 con la pubblicazione del thriller “Il mistero del giglio scarlatto”, prima indagine del Commissario Giulio Salvati, a cui faranno seguito “Soave, innocente filastrocca di morte” (2018) e “Il sentiero delle metamorfosi” (2021).