Francis Scott Fitzgerald: “Il grande Gatsby” (trad. Natalia Di Chicco, Armando Curcio Editore), di Mauro Di Ruvo

Così continuiamo a remare, barche controcorrente, sospinti senza tregua nel passato. Il grande Gatsby. La traduzione del grande sogno americano. 

“Non si può ripetere il passato” è la frase che viene rivolta a Gatsby dal suo coetaneo Nick. Gatsby, ripetendosela come domanda, risponde: “Non si può ripetere il passato? Ma certo che si può”.

È uno dei dialoghi in cui ci imbattiamo quando leggiamo “Il grande Gatsby”, un’opera che rese la bastevole celebrità al suo autore Francis Scott Fitzgerald tanto da essere trasposta postuma nell’omonimo film diretto da Bad Luhrmann ottantotto anni dopo. 

Il film del 2013 ha saputo infatti tradurre la poliedrica blasfemia del protagonista attraverso l’interpretazione magistrale di Leonardo Di Caprio, che ha impresso nella immaginazione dei lettori posteri, già spettatori, la sovrimpressione della fine di un “grande sogno americano”. 

Il capolavoro di Fitzgerald ha interrogato molte coscienze per quasi un intero secolo, intrappolandone il cuore dentro la gabbia dell’interpretazione. Si sono avvicendate perciò molte traduzioni del testo americano sulla scia della contemporanea resa cinematografica. 

Il livello interpretativo dunque della storia del miliardario  Jay Gatsby si appiomba con tutta la sua gravità sul terreno extradiegetico, e nello specifico, sulla zona semiotica.

Questa la ragione di una nuova edizione del testo nella prossimità d’ occasione del suo centenario che intercorre proprio adesso, dotata di un nuovo respiro narrativo che trova la sua principale espressione nuovamente nell’atto traduttivo che mai deve risultare scontato al lettore. 

Il grande Gatsby edito da Armando Curcio Editore lo scorso maggio 2024 è la riproposizione di una grande soluzione, quella della sua comprensione. E la soluzione ci è offerta dal lavoro di traduzione svolto da Natalia Di Chicco, esperta traduttologa e interprete linguistica, che ha introdotto l’occhio del lettore all’interno di un nuovo trasferimento semantico che risulta quasi immaginifico.

Di Chicco preleva la patina soprastante la parola del significato madrelingua così come un restauratore preleverebbe la delicata pellicola pittorica di una tavola raffaellesca. Ciò che risulta alla fine dei lavori di Natalia Di Chicco è infatti una lecita opera di “restauro del testo”.

Il progetto con cui l’autore americano scrisse The Great Gatsby era corrisposto all’idea di lanciare addosso a una presunta società spettatrice l’inesorabilità matrigna dell’amore. Un amore che nasce non dall’unione ma proprio dalla divisione degli sguardi, l’uno verso il futuro l’altro reduce del passato. È la partenza del povero Jay Gatsby dalla sua terra che lo farà innamorare non della giovane Daisy Buchanan, ma della sua idea giovanile, fino a quando il ricordo avrà assunto sufficiente ricchezza nelle tasche di un nuovo Gatsby miliardario da contrabbando. 

La speranza di Jay si è permutata in brama di conquista mentre le sue ambizioni emergevano sempre più concrete a compimento. L’impossibilità che condanna il protagonista a ricrearsi non solo una vita ma una maschera perpetua, è la molla che spinge ogni sua azione verso un diritto di appartenenza ex statu di un amore sospeso, e per tanto atteso. 

Il matrimonio di Daisy e Tom è il tormento onirico da cui fugge, e deve necessariamente fuggire, la fantasia di Jay che meglio ci appare in tutte le sue tonalità psicologiche grazie alla vorrei interna narrante di Nick Carraway, un giovane trasferitosi anche lui come Gatsby nel West Egg di Long Island, diventando proprio vicino di casa dell’oscuro miliardario. 

L’intreccio ha da qui inizio, una volta che le fastose cene e banchetti organizzati frequentemente nella villa di Gatsby gli valgono dall’esterno, dall’autore al lettore, la similitudine col Trimalcione petroniano, Nick si scopre cugino di Daisy mentre proprio lui dovrebbe fare da complice al piano di Gatsby per la riconquista della ragazza. Una serie di svelamenti e rivelazioni incrina drasticamente i rapporti dei componenti di questo triangolo, fino a che la vendetta non prende il volto di un duplice omicidio. La morte accidentata di Myrtle Wilson e l’uccisione di Gatsby nella sua piscina. 

L’elemento di agnizione tragico che segna la conclusione degli scandali episodici tramati nelle maglie di una elite sociale, viene a definirsi la solitudine del singolo innamorato.

Nella solitudine si risolvono i toni inizialmente comici e in questa sempre si risolvono i finali tragici dell’apparenza umana. 

Ciò a cui l’amore di Gatsby deve tenere fronte è un magma incandescente di ambiguità e perversità. È questo il pavimento su cui poggiano i piedi dell’alta società americana, e le sue fiamme linguistiche traspaiono in tutta la loro atrocità dalla scelta lessematica di Natalia Di Chicco. 

Le concentrazioni delle espressioni in piccole formazioni periodali sono stavolta, a differenza delle precedenti versioni traduttive, più secche, meno distese, più brachilogiche e  intuitive, capaci di restituire il senso di assonanza tra ironia e bugia del testo. 

Il tema del sogno è l’involucro che riveste ogni forma dialogica nella sua assopita compostezza stilistica che il traduttore equamente distribuisce senza sbalzi tonali nelle 206 pagine di questa edizione romana. 

La nostalgia di una giovinezza perduta e mai vissuta accumula alla fine della storia i racemi di un giaciglio per il lettore che ha interrotto l’incubo della sua illusione: il vero amore. 

La barca su cui Jay Gatsby è costretto a navigare lungo la corrente del tempo, ha i remi saldi verso il futuro ma ancorati al piacere del passato.

Mauro Di Ruvo

Mauro Di Ruvo: Critico d’arte, classicista e medievista, si occupa di diritto romano a Perugia e di politica interna presso il giornale “Lanterna”. Si è anche occupato di Estetica cinematografica e filosofia del linguaggio audiovisivo a Firenze presso la storica rivista “Nuova Antologia” e collabora con la Fondazione Spadolini. È autore del romanzo Pasqualino Apparatagliole (2023, Delta Tre Edizioni), e curatore della recensione al libro Oltre il Neorealismo. Arte e vita di Roberto Rossellini in un dialogo con il figlio Renzo di Gabriella Izzi Benedetti, già presidente del Comitato per l’Unesco, per la collana fiorentina “Libro Verità”. Ha già curato per la “Delta Tre Edizioni” le prefazioni alla silloge Lo Zefiro dell’anima (2019) di Pasquale Tornatore e al romanzo Le memorie del dio azteco (2021) dello storico Saverio Caprioli. A Ottobre 2024 ha tenuto e curato il convegno accademico “L’eidolon di Dante. Il codice dell’Inferno” a Foligno e nella Chiesa del Purgatorio recentemente è stato relatore della lectio magistrali “Dante, l’Inferno, Saffo”.

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