Letizia Vicidomini, “Non si uccide il passato” (Mursia Giungla Gialla), di Annamaria Petolicchio

Letizia Vicidomini consegna ai lettori un noir che definirei filosofico, che travalica i confini del genere, in cui l’indagine criminale diventa metafora di un viaggio esistenziale attraverso i segmenti del tempo.

Il romanzo ruota intorno ad un concetto centrale, mirabilmente riassunto in una delle citazioni più emblematiche: “Il futuro chiama, il presente corre, ma il passato non può morire” (p.19). Questa frase condensa l’essenza del libro, dove la memoria non è un archivio statico, ma un organismo vivo che “emerge dal terreno, spunta alla maniera di scheletri che spaccano lapidi per tornare in superficie” (p.38).

La riflessione sulla memoria diventa un vero e proprio percorso conoscitivo. Come l’autrice stessa scrive, la memoria è “un magma composito di materia reale e autoprodotta, immagini, odori, sapori, emozioni e dolori” (p.42), un universo liquido dove realtà e percezione si intersecano continuamente.

Il protagonista, l’ex commissario Andrea Martino, incarna questa complessa relazione con il passato. Temporaneamente menomato in seguito ad un intervento per distacco di retina, egli rappresenta metaforicamente un uomo costretto a rallentare, a guardare dentro se stesso. La sua condizione di “guerriero a riposo” (p.36) diventa l’occasione per esplorare strati profondi della memoria familiare.

L’intreccio investigativo si arricchisce così di una dimensione quasi esistenziale. Le indagini sull’omicidio di un usuraio pedofilo si intersecano con la riscoperta di una storia familiare sepolta, conducendo il lettore in un territorio dove “una vita in cambio di una vita” solleva domande cruciali: “È giustizia o vendetta?” (p.246). Anche in questa sua opera la Vicidomini con garbo e sensibilità ci porta a riflettere sulle tante barbarie che si nascondono tra le mura domestiche, sui soprusi e le violenze troppo spesso taciute.

Accanto al protagonista Andrea Martino, ruotano figure che donano profondità e calore umano al romanzo. Luisa, sua moglie, emerge come un personaggio cruciale: non più solo comprimaria, in questo romanzo diventa una vera e propria co-protagonista. Il suo supporto va oltre l’affetto coniugale, configurandosi come un sostegno intellettuale e emotivo fondamentale per Andrea. È lei che lo accompagna nella ricostruzione dei frammenti del passato familiare, diventando quasi un’investigatrice sentimentale accanto al marito.

I nipoti Chiara e Carmine rappresentano la vitalità e la leggerezza. Chiara, descritta come un “tornado” di energia, con i suoi “saltelli, piroette, abbracci e parole a raffica” (p.159), contrasta con il fratello Carmine, già più riflessivo. Questi piccoli personaggi introducono nel romanzo un elemento di pura vitalità, interrompendo la tensione investigativa con la loro spontaneità infantile.

Non meno importante è Cleo, la gatta di casa, che l’autrice tratteggia con ironia: “silenziosa come le piante di Andrea ma decisamente più affettuosa”. Quasi un ulteriore membro della famiglia, Cleo diventa metafora di una presenza discreta ma partecipe. 

Sarebbe lungo soffermarsi su tutti i personaggi che animano le pagine del romanzo, tratteggiati sapientemente dalla penna di Letizia Vicidomini, ma sui fratelli Zilli non posso sorvolare, perché Tommaso e Carmen Zilli rappresentano un tassello importante nella ricostruzione storica e familiare del commissario Martino, diventano gli strumenti narrativi attraverso cui l’autrice sviluppa uno dei filoni più profondi del romanzo: la riabilitazione della memoria.

Originari di Trieste, Tommaso e Carmen sono portatori di una memoria storica che va oltre i confini familiari. Il loro gesto di inviare i diari della nonna Melina al commissario Martino non è solo un atto di giustizia privata, ma diventa un vero e proprio atto di ricostruzione storica. Attraverso questi documenti, permettono ad Andrea di ricomporre i frammenti di una storia familiare frammentata, rivelando dettagli sepolti che gettano nuova luce sul passato del nonno.

La loro scelta di consegnare questi documenti rappresenta un atto di coraggio civile: non si limitano a conservare una memoria personale, ma scelgono di condividerla, permettendo che la verità emerga. Sono loro a fornire le chiavi per scardinare le narrazioni ufficiali, offrendo al commissario Martino l’opportunità di ricostruire non solo la storia del proprio nonno, ma anche un pezzo di storia collettiva.

Trieste, città di confine, di stratificazioni storiche complesse, diventa attraverso Tommaso e Carmen un ulteriore personaggio del romanzo. La loro provenienza non è casuale: rappresentano quella parte d’Italia che ha vissuto sulla propria pelle le complessità dei confini, delle appartenenze multiple, delle storie che spesso restano nascoste tra le pieghe degli archivi ufficiali.

Il loro intervento nel romanzo sottolinea un tema centrale: la memoria non è un dato statico, ma un processo dinamico di ricostruzione e comprensione. Attraverso Tommaso e Carmen, l’autrice sembra voler dire che la verità può emergere solo quando qualcuno è disposto a cercarla, a mettersi in gioco, a consegnare alle generazioni successive i frammenti di storie dimenticate

Letizia Vicidomini utilizza una scrittura sensoriale straordinaria. I suoi personaggi non vivono solo, ma respirano, toccano, sentono. L’amore stesso viene descritto come un linguaggio multisfaccettato che “suona con le note, pizzica il naso, risveglia gli odori, disegna sulla pelle” (p.248).

Particolarmente toccante è la dimensione del legame familiare, sempre presente e viva nelle opere della Vicidomini, sintetizzata nella frase “Ogni graffio risparmiato alla sua giovane anima era prezioso per chi lo aveva messo al mondo” (p.30), che rivela una profonda sensibilità verso la genitorialità come atto di protezione e cura.

Il romanzo si nutre anche di una napoletanità autentica, che rivive nelle pagine del romanzo, tra i vicoli di Materdei e la Pigna Secca, tra la villa Floridiana e Vico Purgatorio ad Arco, citando Pino Daniele, Erri De Luca e il suo modo di intendere il linguaggio: “Da noi non si pronuncia l’ultima vocale, le parole restano sospese. Prima e dopo sono primm’ e dopp’, hanno più carne e ossa del presente, che è solamente: mo’” (p.183). “. Una città che diventa essa stessa personaggio, sfondo vivo e pulsante delle vicende.

E se dopo la lettura di “Dammi la vita” la visita al Conservatorio di San Pietro a Maiella è stata per me tappa obbligata, il programma della mia prossima tappa napoletana prevederà sicuramente il “Teatro Instabile di Napoli, piccolissimo e suggestivo” (p.74) e poggerò anch’io la mano sul naso a becco della “statua di Pulcinella, dono di Lello Esposito alla sua città” (p.74), sperando di attirarmi la buona sorte! E ritornerò volentieri anche a Trieste, “punto d’incontro fra due mondi, terra di confine” (p.255).

Un monito attraversa il libro: “Mi è diventato sempre più chiaro che se siamo al mondo dobbiamo provare a farne veramente parte, senza restare sullo sfondo. Sentirsi vittime non serve a niente. È solo uno spreco” (p.125). Un invito all’azione, alla consapevolezza, a trasformare anche i frammenti più dolorosi dell’esistenza in opportunità di crescita.

Non si uccide il passato” è molto più di un noir: è un viaggio dentro la memoria, le relazioni familiari, i meccanismi della giustizia e del perdono. Un’opera che scava nelle pieghe dell’animo umano con la delicatezza di un bisturi e la profondità di una riflessione filosofica.

Annamaria Petolicchio

Annamaria Petolicchio, è docente universitaria e presidente del Settembre Culturale di Agropoli, nonché tra i protagonisti del reality RAI “Il Collegio”.

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