Continuando con gli elementi di contatto tra le due figure, entrambe svolgono la funzione di ‘aiutante’, un’altra caratteristica delle eroine mitologiche.[11] Medea usa le sue arti magiche per consentire a Giasone di conquistare il Vello d’oro. Filumena si occupa per venticinque anni della casa di Domenico e soprattutto dei suoi affari, gestendo le sue pasticcerie mentre lui gira il mondo per seguire le gare dei suoi cavalli e la tradisce con altre donne.
Inoltre, entrambe agiscono con piena consapevolezza: Medea mette in atto il suo piano di lasciare Giasone privo di eredi sebbene sia consapevole dell’enorme dolore che il suo atto le procurerà. Ma l’infanticidio è un gesto inevitabile per proteggere i figli dall’uccisione per mano Corinzia, o quantomeno dalla loro espulsione dalla città, e preferisce ucciderli lei stessa e sottrarli così ad una fine indegna. Analogamente, Filumena attua il suo piano per proteggere i propri figli. Sente che è la cosa giusta da fare, e sebbene si accorga che il suo piano non avrà nessun effetto se non l’abbandono della propria casa, prosegue imperterrita con estrema lucidità.

Vincenzo Di Benedetto osserva che
La grande invenzione di Euripide è che egli interiorizza il contrasto, mettendo in evidenza la resistenza che nel suo interno l’animo di Medea oppone al progetto dell’infanticidio.[12]
Anche Filumena vive il dilemma se tenere o meno il figlio e rivela il suo conflitto interno, quando ha quasi deciso di abortire il suo primo figlio, ma alla fine ha preferito la conservazione piuttosto che la distruzione.
In pieno stile tragico, le due eroine esprimono i loro sentimenti in forma monologante.
Filumena si rivolge a tutte le donne relegate ai margini e solleva, inoltre, la questione del possesso delle donne. Dal canto suo, Medea nel monologo di apertura denuncia la disuguaglianza tra uomo e donna nella società greca del tempo. Inoltre, critica il fatto che le donne devono ‘comprarsi’ un marito, e devono sottomettersi ai loro mariti, come dirà duemila anni dopo Filumena.
MEDEA […] Fra tutti quanti sono animati ed hanno un intelletto noi donne siamo la specie più sventurata; per prima cosa dobbiamo, con grande dispendio di beni, comprarci uno sposo e prenderci un padrone del nostro corpo; questo è un male ancor più doloroso dell’altro.(vv. 230-233)
FILUMENA (nauseata) E chesto capisce tu: ’e denare! E cu ’e denare t’hê accattato tutto chello ca hê voluto! Pure a me t’accattaste cu ’e denare![…] Ll’aggio lavate ‘e piede! […] Sempe comm’a na cammarera c’ ‘a nu mumento all’ato se po’ mettere for’ ‘a porta! (I, p. 538)
Un’altra questione sollevata da Medea riguarda l’apparente comodità della vita delle donne rispetto a quella degli uomini, che sottintende il problema relativo della dinamica dentro-fuori e dei ruoli sociali: la donna confinata all’interno delle mura domestiche e l’uomo libero di uscirne e di rientrarvi a suo piacimento. I due drammaturghi condannano le loro società patriarcali e maschiliste, schierandosi contro l’establishment e denunciando l’ennesima ingiustizia di genere.
MEDEA […] Un uomo, quando sente fastidio di stare in casa con i suoi familiari, esce fuori e solleva il cuore dalla noia. Per noi, invece, è destino volgere lo sguardo verso una sola persona. E dicono di noi che viviamo in casa una vita senza pericolo, mentre loro combattono in guerra; ma ragionano male. Giacché preferirei stare tre volte presso lo scudo piuttosto che partorire una volta sola! (vv. 243-251)
FILUMENA […] Qualunque femmena, doppo vinticinc’anne che ha passato vicino a te, se mette in agonia. T’aggio fatto ’a serva! (A Rosalia e Alfredo) ’A serva ll’aggio fatta pe vinticinc’anne, e vuie ’o ssapite. Quanno isso parteva pe se spassà: Londra, Parigge, ’e ccorse, io facevo ’a carabbiniera: d’ ’a fabbrica a Furcella, a chella d’ ’e Vìrgene e dint’ ’e magazzine a Tuledo e a Furia, pecché si no ’e dipendente suoi ll’avarrìeno spugliato vivo! (Imitando un tono ipocrita di Domenico) «Si nun tenesse a te…» «Filume’, si’ na femmena!» L’aggio purtata ’a casa nnanze meglio ’e na mugliera! (I, p 538)
Ma è nel Grande Monologo che Medea esprime tutto il suo conflitto interno. Medea è ancora incerta se cedere al sentimento e diventare lo zimbello dei suoi nemici, oppure far prevalere la ragione, ed attuare i suoi propositi che, per quanto dolorosi, laveranno l’onta subita.
MEDEA […] Ahi!, ahi! Perché mi guardate con quegli occhi, o figli? Perché sorridete l’estremo sorriso? Ahi, che devo fare? Il cuore è venuto meno, o donne, quando ho visto lo sguardo lucente delle mie creature. Non potrei; addio propositi di prima. Condurrò fuori da questa terra i miei bambini. Perché mai, per affliggere il padre coi mali di questi, devo procurare a me stessa sofferenze due volte più grandi? Non io certo! Addio propositi.
Ma cosa mi succede? Voglio meritarmi il riso dei miei nemici, lasciandoli impuniti? Bisogna sostenere questa prova. Oh, che viltà la mia, anche solo l’accogliere nell’animo tali morbidi discorsi. Andate in casa, bambini. Colui al quale non è lecito assistere al mio sacrificio, è affar suo; io non svuoterò la forza della mia mano. (vv. 1040-1054)
Amiche, la mia azione è decisa: al più presto uccidere i miei bambini e partire da questa terra, e non consegnare, indugiando, i miei figli ad un’altra mano più ostile perché li ammazzi. È assoluta necessità che essi muoiano; e poiché è necessario, li uccideremo noi che li abbiamo generati. Ma suvvia, àrmati, mio cuore; perché indugiamo a compiere questo male terribile e pure ineluttabile? […] Anche se li ucciderai, nondimeno essi ti sono cari; e una donna sventurata sono io (entra in casa). (vv. 1237-1250)
Qui, si pone la maggiore differenza tra Medea e Filumena che rinfaccia a Domenico la sua piccineria quando si lamenta di aver pagato, a sua insaputa, per il mantenimento dei figli di Filumena: mentre Medea distrugge, Filumena conserva, come verrà raccontato, subito dopo in maniera struggente:
FILUMENA (con uno scatto improvviso) E ll’avev’ a accìdere?… Chesto avev’a fà, neh, Dummi’? Ll’avev’ a accìdere comme fanno tant’ati ffemmene? Allora sì, è ove’, allora Filumena sarrìa stata bona? (incalzando) Rispunne! E chesto me cunzigliavano tutt’ ’e ccumpagne meie ’e llà ncoppo… (Allude al lupanare) «A chi aspetti? Ti togli il pensiero!» (I, 544)
Il monologo che è considerato tra i migliori esempi di drammaturgia italiana è quello pronunciato da Filumena nel primo atto e conosciuto col nome di «Monologo d’ ’a Madonna d’ ’e rrose». È un esempio straordinario di maestria drammaturgica che rapisce l’attenzione attraverso momenti quasi sussurrati, altri di sfacciata arroganza ed altri ancora di rabbia furiosa. È un concentrato di forza narrativa, di analisi psicologica e ingegno creativo, in cui l’animo dilaniato di Filumena si dibatte tra raziocinio e sentimento, tra ragione e passione, tra egoismo e amore, e anche qui è presente l’espediente drammaturgico del deus ex machina: sarà la Madonna stessa a farsi «sentire» da Filumena e a farla uscire dall’impasse.
Ascoltiamola ancora:
FILUMENA (rievocando il suo incontro mistico) Erano ’e ttre dopo mezanotte. P’ ’a strada cammenavo io sola. D’ ’a casa mia già me n’ero iuta ’a sei mise. (Alludendo alla sua prima sensazione di maternità) Era ’a primma vota! E che faccio? A chi ’o ddico? Sentevo ncapo a me ’e vvoce d’ ’e ccumpagne meie: «A chi aspetti! Ti togli il pensiero! Io cunosco a uno molto bravo…». Senza vulé, cammenanno cammenanno, me truvaie dint’ ’o vico mio, nnanz’all’altarino d’ ’a Madonna d’ ’e rrose. L’affruntaie accussì (punta i pugni sui fianchi e solleva lo sguardo verso una immaginaria effige, come per parlare alla Vergine da donna a donna): «Ch’aggi’a fà? Tu saie tutto… Saie pure pecché me trovo int’ ’o peccato. Ch’aggi’a fà?». Ma essa zitto, non rispunneva. (Eccitata) «E accussì faie, è ove’? Cchiù nun parle e cchiù ’a gente te crede? … Sto parlando cu te! (Con arroganza vibrante) Rispunne!» (Rifacendo macchinalmente il tono di voce di qualcuno a lei sconosciuto che, in quel momento, parlò da ignota provenienza) «e figlie so’ figlie!» Me gelaie. Rummanette accussì, ferma. (S’irrigidisce fissando l’effige immaginaria) Forse si m’avutavo avarrìa visto o capito ’a do’ veneva ’a voce: ’a dint’a na case c’ ’o balcone apierto, d’ ’o vico appriesso, ’a copp’a na fenesta… Ma penzaie: «E percché proprio a chistu mumento? Che ne sape ’a gente d’ ’e fatte mieie? È stata Essa allora… È stata ’a Madonna! S’è vista affruntata a tu per tu, e ha voluto parlà…Ma allora, ’a Madonna per parlà se serve ’e nuie… E quanno m’hanno ditto: “Ti togli il pensiero!”, è stata pur’essa ca m’hâ ditto, pe me mettere â prova!…» E nun saccio si fuie io o ‘a Madonna d’ ‘e rrose ca facette c’ ‘a capa accussì! E giuraie. Ca perciò so’ rimasta tant’anne vicino a te… Pe lloro aggio suppurtato tutto chello ca m’hê fatto e comme m’hê trattato! (I, 544-545)[13]
Per quanto Filumena e Medea differiscano sostanzialmente nell’epilogo, possono essere considerate degli archetipi e possono essere considerate a ragione figure mitiche del teatro. Mentre Medea è considerata l’eroina negativa, l’archetipo della madre crudele che si macchia del più atroce dei delitti, l’infanticidio, Filumena, la madre, l’amante, la stratega, difende la sua maternità e il diritto ad avere una famiglia, ma chiede anche uguaglianza. Come Medea, Filumena, la reietta, assurge a emblema di giustizia sociale, e si fa portavoce dell’intera società. Nel reclamare i propri figli ed il riconoscimento sociale della sua posizione e del suo ruolo all’interno della famiglia ribalta l’immagine di Medea, che cede all’ineluttabilità della condizione di esclusa e alla sua furia distruttiva, scomparendo dalla scena.
Nel terzo millennio si spendono ingenti somme di denaro e risorse per debellare le malattie, per procrastinare l’invecchiamento, per conquistare il mondo e persino il sistema solare, per scoprire nuove forme di energia e produrre sempre di più. Eppure, in questo volteggio vorticoso di vigoria si è persa di vista l’umanità, l’apprezzamento per gli esseri umani. Nonostante le donne siano in numero quasi paritario agli uomini, le condizioni di vita ad esse riservate sono considerevolmente inferiori per quanto riguarda la protezione del proprio corpo, il lavoro, l’indipendenza economica e il controllo più o meno subdolo della loro emotività. In qualsiasi continente, anche in quei paesi in cui alla guida c’è una donna, gli uomini rimangono fondamentalmente al comando della società, a partire dalla forma più elementare di aggregato sociale: la famiglia. Una parte degli scienziati ha cercato per secoli di attribuire la predominanza dell’uomo sulla donna a caratteristiche biologiche legate alla diversità nel funzionamento del cervello e alla diversa struttura muscolare di uomini e donne.[14]
Ma anche senza ricorrere alla scienza, il sentire comune vede l’uomo fuori a guadagnare e la donna dentro ad accudire. E l’unica forma di lavoro valutata nella società è quella retribuita. Infatti, quando si chiede ad una casalinga che cosa faccia, ci si sente rispondere: “Non lavoro”. Come abbiamo visto, la tematica del dentro/fuori non è recente, ma va indietro di millenni. Mentre agli uomini veniva riservato il compito di cacciare, alle donne toccava quello di raccogliere e curare la prole. Ed è attraverso il possesso del corpo delle donne che le società di tutti i tempi si sono sviluppate e continuano a farlo.[15]
È straordinaria l’attualità di queste due opere, le cui protagoniste combattono contro i pregiudizi legati al loro sesso e alla loro provenienza. Le statistiche del 2024 offrono sconcertanti punti di riflessione sulla condizione delle donne che sono ancora l’oggetto di discriminazione, svilimento e violenza, al punto di richiedere l’intervento del legislatore per emanare una legge sul femminicidio.[16] Tuttavia, Filumena, come immagine riflessa di Medea, realizza il trionfo della potenza femminile e ci ricorda che la lunga strada ancora da percorrere per il raggiungimento della parità è difficile ma non impossibile.
[11] Vedi Arianna figlia di Minosse re di Creta, che aiuta Teseo nel Labirinto per uccidere il Minotauro.
[12] V. Di Benedetto, «Introduzione», p. 30.
[13] Eduardo aveva chiara la somiglianza tra i due personaggi, come emerge da una lettera a Frank Finlay, che ricoprì il ruolo di Domenico Soriano nella ripresa della edizione inglese diretta da Zeffirelli nel 1978, dove descrive Filumena come «una moderna Medea», cfr. N. De Blasi, P. Quarenghi, «Nota storico-teatrale», op. cit. p. 489.
[14] Si veda Angela Saini, (2017), Inferior.
[15] Si veda Alva Gotby (2023), They call it love.
[16] Legge n. 119 del 2013.
Alessandra De Martino

Alessandra De Martino
Dopo avere conseguito la laurea in Giurisprudenza all’Università Federico II, si è trasferita in Inghilterra dove vive dal 1984. È traduttrice ed è stata docente di lingua e cultura italiane e tecniche di traduzione presso la Facoltà di Lingue moderne dell’Università di Warwick, in Inghilterra, dove ha conseguito un dottorato di ricerca in Traduzione teatrale, con una tesi sulla trasposizione culturale nelle traduzioni dal napoletano all’inglese di alcune delle commedie di Eduardo De Filippo.
Durante la sua docenza universitaria, ha condotto svariati progetti di traduzione e adattamento teatrale di opere di Dacia Maraini, Gianrico Carofiglio, Serena Dandini, Stefano Benni e Giuseppe Catozzella.
Nel 2014 ha fondato l’International Network of Italian Theatre, la prima piattaforma globale di teatro italiano, di cui è anche direttrice (www.newinit.org).
Nel 2019 ha lasciato la docenza per dedicarsi esclusivamente alla regia e scrittura teatrale ed è ora Ricercatrice associata presso la Scuola di Teatro, sempre all’università di Warwick.
Nel 2020 e nel 2022 ha messo in scena a Londra i suoi adattamenti di alcuni monologhi da lei tradotti in inglese tratti da Ferite a morte di Serena Dandini e Maura Misiti, e della commedia Non ti pago, di Eduardo De Filippo. I monologhi fanno anche parte di un testo in inglese dal titolo Class Action, di cui Alessandra è co-autrice.
Nel 2024 ha partecipato ad un progetto sperimentale del Teatro dell’Oppresso del regista brasiliano Augusto Boal, realizzando un adattamento teatrale delle notizie dei giornali e dei media.
Fa parte del Comitato Italiano di Eurodram, la rete europea di traduzione teatrale, che promuove la diffusione di opere teatrali per lo più inedite con particolare attenzione alla diversità linguistica.
È stata invitata come relatrice da università nazionali e internazionali, tra cui l’Università di Studi Internazionali di Shanghai, l’Università di Tolosa Jean Jaurès e L’Università Statale di Milano. Ha scritto numerosi articoli e capitoli pubblicati in riviste e testi accademici ed è co-curatrice di due volumi, in italiano e in inglese, sul teatro dei margini, il titolo italiano è Diversità sulla scena, e al momento sta lavorando a una monografia sull’adattamento teatrale.
Nel luglio 2024 è stata invitata, dalla Associazione Culturale Onlus Effetto Donna, a presiedere la giuria tecnica della XI edizione della Settimana Letteraria, e a presentare il suo lavoro Medea allo specchio, accompagnato da una lettura scenica di brani tratti da Filumena Marturano e Medea eseguita dagli attori Alina di Polito e Paolo Puglia con l’accompagnamento musicale del maestro Mauro Navarra.

