Tra i tanti gialli che presentano nella veste di improvvisati quanto improbabili detective personalità illustri del passato (scienziati, poeti, filosofi) ci siamo imbattuti in un romanzo che propone nel ruolo di investigatrice una figura ben più credibile e plausibile. Il romanzo si intitola “Luci sulla città. Un’inchiesta per Matilde Serao” (Feltrinelli), l’autore è Massimiliano Virgilio e la protagonista – come già ci informa il sottotitolo – è quella donna Matilde, fondatrice nel 1892 assieme a Edoardo Scarfoglio, del quotidiano ‹‹Il Mattino››.

Ora, già il fatto d’essere la Serao la ben nota giornalista implica una sua propensione a scovare, cercare, scoprire: in una parola, indagare. E d’altra parte proprio nella forma di inchiesta era nato quel “Ventre di Napoli” che rimane il capolavoro della scrittrice e costituisce a tutt’oggi uno strumento prezioso per addentrarsi attraverso la Napoli di ieri anche in quella attuale.
Come se non bastasse – e non so se Virgilio ne sia a conoscenza – la Serao, in tempi successivi a quelli in cui è ambientato il romanzo, fu anche l’artefice dalla risoluzione del caso relativo a Paolo Riccora, autore di commedie di un discreto successo, di cui però si ignorava la reale identità. Chi era, chi non era questo Riccora che non si presentava in palcoscenico al termine dello spettacolo a godersi gli applausi del pubblico? Chi si nascondeva dietro a questo nome? Un po’ come per la Ferrante dei giorni nostri, le supposizioni si sprecavano. Fino a che non scese in campo la Serao a occuparsi della faccenda e a svelare poi ai lettori che dietro a quello pseudonimo si celava una gentile signora, all’anagrafe Emilia Vaglio, la quale per una serie di svariate ragioni (di cui chi scrive si è occupata in altra sede) aveva scelto di utilizzare quello che oggi chiameremmo un nickname coniato anagrammando nome e cognome del marito , Caro Capriolo, avvocato ben noto negli ambienti dello spettacolo perché si occupava anche di vertenze teatrali.
Osservare, ascoltare, curiosare, ronzare come i Mosconi di una sua celebre rubrica mondana, partecipare alle serate di gala ma anche aggirarsi tra fondaci e vicoli maleolenti della città e poi trasformare tutto in parole scritte lì, nel suo ufficio in vico Rotto San Carlo, dove sorgeva la sede originaria del Mattino, a due passi dal Gambrinus, dal Massimo Napoletano e dalla Galleria Umberto che ospitava al suo interno quel Salone Margherita che era forse il simbolo più evidente e ammiccante di una Belle Époque in salsa partenopea: questa era la passione di donna Matilde. L’inchiostro le scorreva nelle vene anche più che al consorte, Edoardo, che provava più gusto a inseguire le sottane che le notizie e che spesso disertava il ponte di comando della redazione del giornale, di cui pure era il Direttore, preferendogli il lussuoso panfilo ormeggiato in attesa di prendere il largo e che almeno nel nome, Fantasia, omaggiava un romanzetto giovanile della Serao, quello stesso che proprio Scarfoglio aveva malamente stroncato definendolo, tra l’altro “una minestra fatta di tutti gli avanzi di un banchetto copioso”. Questo, però, prima di conoscersi personalmente e di trasformare l’amicizia complice in un amore suggellato dalle nozze e dalla nascita di quattro figlioli.
Col tempo il rapporto si era logorato, e mentre don Edoardo già assaporava l’aria salmastra dalla sua imbarcazione, il vero capitano di quell’altra nave denominata ‹‹Il Mattino›› era la Signora, come veniva abitualmente chiamata, era sua la voce possente di quel: – Si va in stampa! – con cui nei sottoscala del palazzo si metteva in moto la Marinoni, la potente rotativa capace di sfornare ottomila copie in un’ora.

Tutto questo e molto altro ci racconta Massimiliano Virgilio in questo libro, che prende l’avvio da un efferato omicidio che insanguina un vicolo di via Ventaglieri. La vittima, Carlo Montanari, è un calzolaio socialista iscritto al Fascio operaio, che in nome di una conoscenza di vecchia data con la Serao, proprio a lei si era rivolto per un incontro in gran segretezza al fine di rivelarle dei “fatti inauditi, anzi, inauditissimi” che “avrebbero sconvolto la città dalle fondamenta”: per intanto, tali fatti gli erano costati la vita prima di riuscire a raccontarli alla giornalista, la quale, non soddisfatta dalle modalità delle indagini ufficiali, decide di investigare in proprio.
Eppure, attribuire solo al genere giallo questo libro ci sembra limitativo, in quanto il fatto delittuoso, e la conseguente indagine, pur intrigante nei suoi viluppi e sviluppi, ci appare sostanzialmente se non un espediente, almeno uno dei vari elementi narrativi di un’opera che si allarga a romanzo sociale più che storico – ci sembra – in quanto l’autore molto sapientemente ci mostra nel corso della narrazione i vari e contrastanti aspetti di quella Belle Époque in cui il bello era davvero poco, e la miseria (morale e materiale) continuava a prevalere sulla nobiltà (di sentimenti più che di blasone). Il momento storico era delicato, la corruttela già si annidava nei luoghi del potere, gruppi socialisti e anarchici si muovevano ancora disordinatamente: Virgilio, parlando del capitano dell’Arma che segue le indagini del delitto, cita en passant il fallito attentato a re Umberto avvenuto anni addietro proprio lì a Napoli a opera dell’anarchico Passannante , il quale, è bene ricordarlo, era ancora vivo in quegli ultimi anni dell’800 in cui è ambientato il romanzo e dopo aver patito per dieci anni pene infernali in una piccolissima cella, posta al di sotto del livello del mare, a Torre della Linguella, impazzito, era stato condotto in un manicomio criminale dove sarebbe rimasto fino alla morte. Il principale responsabile di un così disumano trattamento fu individuato nell’allora Ministro dell’Interno, Giovanni Nicotera: che non godeva di grande stima neanche da parte dei coniugi Scarfoglio, se, ci racconta il libro, “per non sottostare all’editore, ai suoi amici parigini Rothschild, ai ministri massoni come quel mascalzone di Nicotera” , la “coppia d’oro” del giornalismo italiano aveva abbandonato il ‹‹Corriere di Napoli›› e si era messa in proprio creando un nuovo giornale. Questo a riprova di come la incandescente realtà politica ed economica entri in più parti nel romanzo a raccontarci uno spaccato di vita nazionale che ci fa capire, ahimè, come i corsi e ricorsi vichiani siano sempre validi.
Un lavoro di ricostruzione di un’epoca, quello realizzato da Virgilio in “Luci sulla città”, che ha richiesto un’accurata documentazione da parte dell’autore, che ne dà conto nelle Note poste in conclusone, che se privano un po’ il critico del gusto di individuazione delle possibili fonti, ci conferma l’approccio anche filologico o quanto meno da studioso accorto – oltre che da narratore di razza – che Virgilio ha realizzato per questo suo nuovo romanzo.
E certamente a “Le verità ignorate su Matilde Serao”, curato da Salvatore Maffei e Stefania De Bonis si rifà l’autore nell’accennare alla nascita di un idillio fra Matildella e Mario Giobbe, il giovane poeta “dagli abiti così cenciosi e dal cuore così nobile” che avrebbe poi concluso con il suicido la sua breve esistenza nel 1906.
Ben diverso per temperamento ed estro artistico era invece quel Ferdinando Russo, poeta irriverente e spirito irrequieto, che non compare direttamente nel romanzo ma viene più volte nominato, o meglio invocato dalla Serao, perché in qualità di capo della cronaca cittadina del giornale, si attendeva lui per andare in stampa. E vien da pensare, con un pizzico di nostalgia, che in quegli anni i quattro piani del palazzo in cui sorgeva il giornale, al di là della porta a vetri con il gallo simbolo della testata, brulicava di personaggi che rappresentavano l’orgoglio e il motore artistico e culturale della città e dell’intero Paese: Virgilio cita tra i tanti Bracco, Verdinois, Nitti, Panzacchi, Di Giacomo, Croce, Carducci, quel D’Annunzio che anni addietro si era scontrato in un duello con Scarfoglio: duello che aveva provocato una ferita al Vate ma non aveva posto fine alla amicizia fra i due. E poi la Duse, la divina, amica tra le più care di Matildella che chiamò in suo onore Eleonora la figlia che successivamente ebbe da Giuseppe Natale: le due si incontrano tra una sfogliatella riccia e la novità della frolla e parlano di tutto, soprattutto di amori: è la Duse che, almeno per come la racconta Virgilio nel romanzo, è artefice dell’incontro fra la Serao e Giusto, ed è la Serao che a sua volta chiede all’amica attrice notizie dei suoi amori: Gabriele D’Annunzio e quell’Arrigo Boito col quale la divina intrattenne una lunga relazione tenuta accuratamente segreta a tutti, ma evidentemente non alla sua amica del cuore.

Il romanzo di Massimiliano Virgilio parte e si sviluppa su un duplice sventramento: quello della povera vittima ai Ventaglieri e quello a cui era sottoposta la città per loschi interessi economici prima che sociali, mentre il popolino continuava ad attendere un riscatto più dalla giocate del lotto che dal Risanamento urbano messo in atto. Ma raccontandoci questa realtà, attraverso la figura della giornalista e del suo illustre e fedele stuolo di collaboratori, lo scrittore ci racconta anche di quella che fu forse l’età dell’oro del giornalismo, quando le edicole si aprivano e moltiplicavano nei vari quartieri della città, con gli strilloni cenciosi che a piena voce urlavano: -Accattateeve ‘o Matìn! Accattateve ‘e nutizie!
E la gente, scrive Virgilio, incredibilmente comprava. Perché c’era il bisogno di sapere, di essere informati perché la conoscenza dei fatti conferiva un potere più grande persino dei quattrini:
“Cerano persone che per secoli erano rimaste in silenzio, persone che gli uomini al potere avevano sempre considerato poco importanti, e a un tratto queste persone, grazie ai giornali, grazie a una singola copia da due lire, potevano far sentire la loro voce ed essere ascoltate. Succedeva non solo a Napoli ma in tutto il Sud: lo avevano fatto quei due, marito e moglie, che si erano messi in testa di cambiare il mondo e alla fine lo avevano cambiato davvero”.
E in tempi come questi che viviamo, in cui le edicole chiudono tristemente una dopo l’altra e le tirature dei giornali si contraggono, ci piacerebbe percepire almeno per un momento l’odore non certo salubre ma esaltante dell’inchiostro e ascoltare il rumore ferroso delle rotative in azione, lì, in quel vico Rotto San Carlo, oggi piazzetta Matilde Serao dove forse ancora riecheggia ogni tanto la risata inconfondibile e prorompente di donna Matilde o la sua voce che allucca : – Appicciate la Marinoni! Si stampi! -.
Bernardina Moriconi

Bernardina Moriconi: Filologa moderna, Dottore di ricerca in Storia della Letteratura e Linguistica Italiana, giornalista pubblicista e docente di materie letterarie, ha insegnato fino al 2018 Letteratura italiana e Storia a tecniche del giornalismo presso l’Università “Suor Orsola Benincasa”. Ha pubblicato libri sulla letteratura teatrale e svolge attività di critico letterario presso quotidiani e riviste specializzate. E’ direttore artistico della manifestazione “Una Giornata leggend…aria. Libri e lettori per le strade di Napoli”.

