Danza e Letteratura: “L’ultimo viaggio di Sindbad” e “Exodus”, l’esodo eterno come condizione esistenziale, di Serena Cirillo

Letteratura, cinema, teatro, ancora letteratura e infine danza. Una storia senza tempo che approda al mondo di oggi, trasferita dall’Oceano Indiano al Mar Mediterraneo. La figura del marinaio Sindbad, fortunato avventuriero delle Mille e Una Notte, è sempre stata estremamente suggestiva, così il regista Maurizio Scaparro nel 2002 invita lo scrittore Erri de Luca a scriverci un’opera teatrale, e l’autore lo colloca nell’attualità.

Il Sindbad di De Luca è una reincarnazione mediterranea del personaggio di “Le Mille e una notte”, conosce del mare il bene e il male, la calma e la tempesta, la bellezza e i pericoli. Ha trasportato uomini e donne dall’Europa all’America nel primo novecento verso il sogno americano, ha visto la loro disperazione e intuito le loro speranze, ne ha accompagnato i desideri e le ambizioni. Oggi, ormai anziano, il moderno Caronte traghetta verso il sogno italiano, o europeo, i nuovi migranti, ben diversi da quelli del secolo scorso per condizioni di vita e obiettivi.

Traspare un altro tipo di disperazione, che l’autore tratteggia per tutta la narrazione attraverso i dialoghi tra Capitano e Nostromo, tra Capitano e passeggeri, e nei monologhi di Sindbad.  Nella prefazione Erri de Luca afferma: “Ho scritto di un Sindbad del Mediterraneo, un marinaio più insonne che immortale, e del mare degli emigranti italiani del 1900 inghiottiti vivi dalle Americhe. Qui Sindbad è all’ultimo viaggio. Trasporta migratori e migratrici verso il nostro occidente chiuso a filo spinato. Quest’opera con Sindbad è ancora affidata alla misericordia delle onde, che sono più ospitali della nostra terraferma.” Ha parole aspre come quelle del Capitano, Erri De Luca, dalle quali traspare tutta la drammaticità di una storia tragica, mai a lieto fine, di destini segnati e di un riscatto impossibile. Un testo scritto per il teatro che ha il ritmo di un racconto, intenso ed incisivo.

Testo duro, dissacrante, impietoso sin dalle prime parole. Il capitano della nave saluta i passeggeri dicendo: “Malvenuti a bordo. Per la durata della traversata resterete nella stiva. Sarà permesso di uscire un uomo alla volta e per un’ora al giorno. Nessuna donna esce. Ci sono satelliti che controllano pure quanti pidocchi abbiamo in testa. Chiaro?”. Il linguaggio del capitano e del marinaio che collabora è stringato, essenziale, crudo ai limiti della volgarità. I commenti dei passeggeri, caratterizzati dalla triste rassegnazione alla loro condizione di merce di scambio, ma allo stesso tempo dalla disperata speranza di approdare in un mondo migliore, sono di un realismo tragico e agghiacciante: “Io ho pagato per la libertà. Non importa come viaggio, mi possono infilare pure in una cassa da morto, basta che mi fanno sbarcare vivo”; o anche: “Mi sono imbarcato per non andare in guerra. Scappo dall’esercito che manda a combattere contro i nostri fratelli”. Lo stile è scarno, le frasi sono brevi, semplici ed essenziali, come se l’autore volesse sottolineare l’importanza del contenuto limitando al massimo la forma. 

L’argomento, tanto doloroso quanto attuale, è stato trasposto in danza, con tutta la sua tragicità, dai coreografi Mariana Porceddu ed Emiliano Pellisari e dai danzatori della compagnia NoGravity: Saverio Cifaldi, Anna Balestrieri, Luca Forgone e Lella Ghiabbi. Colpita dal testo di Erri De Luca, sensibile da sempre alla questione dei migranti, la coreografa e prima ballerina della compagnia ha ritenuto necessario apportare il suo contributo per sensibilizzare l’opinione pubblica verso un problema che molti tendono ad ignorare o a liquidare in modo superficiale facendo ricorso a insulsi luoghi comuni. Così nasce “Exodus”, una creazione a quattro mani, struggente ed incisiva come la narrazione di De Luca, che descrive il viaggio iniziatico di qualsiasi essere umano e l’esodo eterno di ogni popolo che è stato costretto ad emigrare per cercare una vita migliore. Prima di mettere in scena la produzione, i due coreografi hanno consultato la bibliografia che ha usato Erri De Luca per “L’ultimo viaggio di Sindbad”, dall’Antico Testamento a “Uomini Vuoti” di T.S. Elliot, passando per “Le Metamorfosi” di Ovidio.

 La coreografia di NoGravity si apre con una massa indistinta di corpi sulla scena che sembrano tutti uguali, proprio per sottolineare l’esodo di un popolo simile ad un’onda di materia di cui ogni uomo è solo una piccola parte in balia del destino. In un gioco di specchi e simmetrie i corpi si staccano e si riattaccano tra loro creando essi stessi la scenografia. Dopo aver percorso, allegoricamente, il deserto, i corpi diventano una barca con cui varcare il mare, dalla quale ad un certo punto viene espulso il passeggero il cui sacrificio, secondo l’antica credenza, serve a far placare la tempesta (come accade nel testo di Erri De Luca). Poi i corpi diventano la balena che inghiotte il passeggero gettato in mare, con un chiaro richiamo a Giona il profeta,  e i passeggeri superstiti iniziano a recitare le preghiere come estremo gesto scaramantico tra il sacro e il profano. Le preghiere sono cristiane, ortodosse, ebraiche e musulmane, simbolo di uguaglianza di tutte le religioni di fronte all’universo e di fratellanza tra gli uomini a prescindere dal loro culto.  La performance dei danzatori-acrobati racconta una storia senza tempo, un viaggio di anime sospese, anime senza gravità che scorrono leggere sulla terra e si sussurrano storie nell’orecchio per restare vivi alla maniera di Sherazade in “Le mille e una notte”.

Contemporaneamente l’attore Moni Ovadia, presente sulla scena, recita brani da “Le Metamorfosi” di Ovidio che hanno dei riferimenti con la storia. Uno spettacolo intriso di cultura mediterranea, nel quale anche le musiche sono tradizionali, etniche, riproduzioni di quelle degli strumenti citati nell’Antico Testamento. Il finale è tragico, senza speranza, metafora di una condizione esistenziale che si ripete dalla notte dei tempi, che trasmette un messaggio diretto come  un grido di dolore per l’umanità intera.

Serena Cirillo

Serena Cirillo: già consulente per la comunicazione istituzionale al Consolato Americano di Napoli. Giornalista pubblicista, traduttrice, scrittrice, ghost writer. Laureata in lingue e letteratura, specializzata in didattica della lingua italiana agli stranieri. Esperta di letteratura, arte e spettacolo; scrive, anzi narra, di teatro, musica, arti figurative e soprattutto di balletto classico. Ha pubblicato racconti in antologie e ha in cantiere un romanzo ambientato nel mondo della danza. Scrive sulla pagina culturale del quotidiano Cityweek e della rivista Le Sociologie

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