Sin dalle prime pagine, Marcella Formenti, con il suo libro “La morte della Romanziera” cattura il lettore. Lo coinvolge in pieno nelle atmosfere siciliane degli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale.
Un primo merito di questo bel libro sta nel richiamare e farne respirare in pieno lo spirito, la passione, l’ entusiasmo delle battaglie del movimento contadino siciliano contro il latifondo.
In una terra come la Sicilia, di fatto, lottare contro il latifondo significa lottare contro la mafia, e precisamente, Cosa Nostra.

Non bisognerebbe mai dimenticare che quel movimento pagò un carissimo prezzo di sangue: furono uccisi dai mafiosi circa 40 promotori ed organizzatori di quelle battaglie, per lo più sindacalisti e socialisti.
Per nessuno di essi è stato condannato definitivamente un solo assassino.
Ecco perché Marcella Formenti ha un grande merito con il suo libro: recupera la memoria di una parte della storia d’ Italia dimenticata da gran parte dell’ opinione pubblica.
Provando ad anticipare poco del libro che è pur sempre un giallo, è il caso di evidenziare come l’ autrice valorizza il protagonismo delle donne in quel frangente storico.
Certo, il libro in questione è frutto della immaginazione creativa di Formenti, ma la riuscita letteratura, e questa lo è a pieno titolo, sta nella capacità di scrivere di personaggi finti – ma non falsi – che assumono su di sé le tipiche caratteristiche di persone in carne e ossa che hanno vissuto il luogo e il tempo narrati.
Altro recupero che fa la scrittrice è la figura del bandito Giuliano, nonché la strage di Portella della Ginestra, avvenuta il 1947, quando la banda criminale del citato fuorilegge sparò contro una folla di contadini che stavano festeggiando il primo maggio, facendo ben 11 morti.
L’ autrice offre al lettore le atmosfere, le ambiguità, le complicità della Sicilia e dell’ intero Paese – con uno suo specifico stile, ma che un pò ricorda quello di Leonardo Sciascia – in un passaggio storico delicato dell’ Italia, vale a dire la fine degli anni quaranta del secolo scorso.
Nasce un nuovo Stato che è sicuramente democratico, ma che si porta dentro una certa continuità con quello precedente e con quello prefascista.
L’ abilità di Marcella Formenti sta nel fatto che lei fa percepire la mancata radicale discontinuità tra vecchia e nuova statualità soprattutto nella mirabile descrizione dei personaggi letterari che, di volta in volta, si affacciano nella storia narrata.

Il contenuto del libro è incentrato sulla morte di una donna, Tindara Persichini, socialista. Una morte causata da un motivo apparentemente chiaro, ma che, in realtà, si pone al centro di una fitta rete di indifferenza, di ambiguità, di maldicenza, di opportunismo ammantato di desiderio di giustizia. Una morte avvenuta in un periodo nel quale il bandito Giuliano risultava imprendibile.
Ma l’ autrice, in questo vortice di sentimenti, di omissioni, di ipocrite finalità alla lotta alla delinquenza organizzata strumentalizzata per scopi di stabilità politica, riesce paradossalmente a individuare un filo di umanità, di gratitudine nei confronti della donna uccisa che è amata e rispettata da una moltitudine di persone.
Leggere “La morte della Romanziera ” costituisce una vera e propria immersione nella Storia, ma attraverso le storie di individui. Individui che hanno tutti, come è inevitabile, le loro zone d’ ombre, ma alcuni riescono a mettere in luce una forma di empatia con la donna morta e, più in generale, una connessione con la sofferenza umana.
Vincenzo Vacca










