Con la barba alla Whitman, il sorriso di una maschera greca, la pancia di Budda, Allen Ginsberg ha incarnato per tutta la sua vita la figura del beatnik, del vagabondo squilibrato che porta torrenti di poesia improvvisata e ritmata dovunque si trovi, fosse un supermercato o una stazione del Greyhound, una spiaggia o un jazz club; dell’attivista gay che si spoglia nudo, si fa arrestare, sottoporre a processo per oscenità, ricoverare in manicomio per protestare contro ogni guerra e l’atomica, per la liberalizzazione delle droghe e la rivoluzione sessuale, per una spiritualità anti materialista contro il conformismo vomitevole della società americana.

Dove Kerouac era (soprattutto) “il romanzo” e Dylan sarebbe stato blues e ballate, Ginsberg era “la poesia”. E la poesia per antonomasia, la più conosciuta della beat generation, fu quell’Urlo, scritta, letta per la prima volta e pubblicata tra il ‘55 e il ‘56, che ci catapulta direttamente alla fine degli anni Sessanta per quel tributo ai poeti, agli artisti, ai pensatori, agli hipster, a tutti gli spiriti ribelli che, nella loro pazzia, sono gli unici saggi in un mondo malato.
Allen Ginsberg nacque a Newark il 3 giugno del 1926 e a noi Randagi piace ricordarlo nell’anniversario della nascita.
Gigi Agnano



