Anche la danza può essere un piacevole ed efficace strumento per avvicinarsi alla letteratura. Aver visto di recente il musical “Cabaret”, ha suscitato la mia curiosità spingendomi a leggere il romanzo da cui prende spunto: “Addio a Berlino” di Christopher Isherwood nella traduzione di Laura Noulian pubblicata da Adelphi.

Si tratta di un racconto autobiografico dello scrittore inglese che nel 1930 si stabilisce a Berlino per viverci un paio d’anni. Si trova improvvisamente a frequentare il “sottobosco” della società berlinese con i suoi personaggi da corte dei miracoli. In cerca di ispirazione, tenta di scrivere un romanzo mentre, per sbarcare il lunario, dà lezioni di inglese a personaggi dell’alta borghesia. La sua esperienza berlinese si traduce in una sorta di bipolarismo: una parte della sua vita si svolge nei salotti borghesi dei suoi clienti, un’altra in compagnia di personaggi strani e ambigui, spesso equivoci, che popolano i bassifondi, i locali da lui frequentati e le pensioni dove alloggia, sempre più modeste man mano che si assottigliano le sue risorse. L’ambiente, i personaggi e le situazioni sono descritti con un realismo a tratti angosciante. Le situazioni tragiche vengono trattate con ironia e apparente leggerezza; i temi sociali e politici sono appena accennati, proprio per non far perdere all’opera il suo carattere di romanzo di formazione. Il senso di decadenza e di precarietà si respira ovunque: sia presso la famiglia della classe operaia che gli affitta una camera del proprio appartamento per arrotondare, assillata dai debiti e dalla vita di espedienti ai limiti della legalità che conducono i figli, sia nell’ambiente altolocato in cui transita, in cui sono tutti angosciati dalla pericolosa piega che sta prendendo la scena politica nazionale. Il triste presagio di una guerra imminente si fa sempre più concreto, avvalorato dalle varie manifestazioni di protesta a sfondo politico da parte dei nazisti o dei comunisti, o, peggio ancora dalle rappresaglie antisemite. Così l’autore si aggira tra ladruncoli, faccendieri, prostitute e protettori, truffatori di tutti i livelli e nazionalità, ma anche tra umili e onesti lavoratori, mantenendo sempre lo stesso atteggiamento di osservatore esterno super partes, che si rivelerà completamente alla fine, quando tornerà nel suo paese subito prima dello scoppio della guerra per evitare di esserne coinvolto.

La prosa è scorrevole, fluida, asciutta ma attenta ai dettagli e ad ogni minimo particolare. Lo stile moderno si rispecchia nella forma e nei contenuti, innovativi e a tratti persino scandalosi per l’epoca. Il lessico è infarcito di neologismi e colloquialismi, la storia di Sally, la co-protagonista, è quella di una ragazza di facili costumi e degli uomini lascivi a cui si accompagna nella speranza di fare carriera nel mondo dello spettacolo. L’atteggiamento di sfida apertamente anticonformista è tipico delle donne che all’epoca volevano essere emancipate.
Lo spettacolo “Cabaret” nella nuova versione firmata da Arturo Brachetti e Luciano Cannito, è stato strepitoso. Entrato nella storia del teatro e della filmografia internazionale grazie al musical proposto a Broadway e al film di Bob Fosse del 1972 con Liza Minnelli, vincitore di otto Oscar, viene ripresentato nei teatri italiani con un format del tutto originale. La trama ha subito delle variazioni nell’adattamento teatrale, rendendo la sceneggiatura estremamente efficace. La grande novità della versione attuale è la proposta di Arturo Brachetti protagonista nel ruolo di Emcee, presentatore ambiguo e sfrontato del Kit Kat Club. Brachetti, mito vivente della visual performing art, che spazia dal teatro comico al musical ed è considerato il più grande trasformista contemporaneo, diventa maestro di cerimonie del famoso locale berlinese in un’atmosfera di eccessi, decadenza e contraddizioni, in un momento storico in cui l’euforica disperazione del dopo guerra stava per cedere il passo agli orrori della dittatura nazista. Lo spietato presentatore, che strumentalizza la dilagante libertà sessuale e i giochi di potere, altro non è che una metafora della crescente minaccia del terzo Reich. Ruolo drammaticamente attuale espresso in tutta la sua completezza con Brachetti, che interpreta perfettamente il mood contemporaneo e provocatorio, esplorando temi di politica, amore e libertà personale in un’epoca di grande incertezza. Con lui condivide la scena Diana Del Bufalo nel ruolo che fu di Liza Minnelli: la ragazza di facili costumi, soubrette che nel musical vive con lo scrittore (americano nella trasposizione teatrale) una relazione destinata poi a diventare una grande storia d’amore. La cantante dà un’interpretazione tutta sua al personaggio di Sally, incantando il pubblico con la sua voce straordinaria e la sua imponente presenza scenica. Nel cast ottimi cantanti, attori e ballerini. Ognuno di essi ha dato un tocco particolare al suo personaggio mantenendo un perfetto equilibrio tra comicità e tragedia, tra l’ironia e la drammaticità che rimane sempre sullo sfondo, data la delicatissima tematica che Isherwood ha inteso solo tratteggiare nel suo romanzo.

“E’ uno spettacolo di rottura, che può diventare impegnativo, con riferimenti politici sempre presenti” – afferma il Maestro Cannito – “pertanto ho preferito dare spazio alla leggerezza, senza sottolineare la tragicità del contenuto che è comunque evidente”.
Di grande impatto emotivo il finale, evocativo di un momento storico che ha segnato per sempre le sorti dell’umanità. Una trovata geniale che lascia il pubblico senza fiato.
Serena Cirillo

Serena Cirillo: già consulente per la comunicazione istituzionale al Consolato Americano di Napoli. Giornalista pubblicista, traduttrice, scrittrice, ghost writer. Laureata in lingue e letteratura, specializzata in didattica della lingua italiana agli stranieri. Esperta di letteratura, arte e spettacolo; scrive, anzi narra, di teatro, musica, arti figurative e soprattutto di balletto classico. Ha pubblicato racconti in antologie e ha in cantiere un romanzo ambientato nel mondo della danza. Scrive sulla pagina culturale del quotidiano Cityweek e della rivista Le Sociologie

