Tahar Ben Jelloun: “L’urlo” (La nave di Teseo) e Yasmina Kadra: “L’attentato” (Sellerio), di Valeria Jacobacci

Due testi da suggerire fra le centinaia scritti sulla contrapposizione Israele-Palestina.  Uno è una breve riflessione di Tahar Ben Jelloun, “L’Urlo”, trad. Anna Maria Lorusso, per La nave di Teseo, porta come sottotitolo “Israele e Palestina. La necessità  del dialogo nel tempo della guerra”. L’altro è un libro di narrativa, “L’attentato” per Sellerio, di Yasmina Kadra.

Quello che bisogna subito rilevare è che Yasmina Kadra è uno pseudonimo, l’autore è Mohamed Moulessehoul, scrittore algerino, tradotto in molte lingue, Yasmina è sua moglie, vivono in Francia, dove l’autore può esprimere liberamente le sue opinioni. Jalloun è invece nato in Marocco,  i due autori hanno quindi in comune l’appartenenza al mondo arabo e un grande successo letterario in tutto il mondo occidentale. Scrive nell’incipit Jelloun:

“Io, arabo e musulmano di nascita, di cultura e tradizione marocchina tradizionale, non riesco a trovare le parole per esprimere l’orrore che provo per ciò che i militanti di Hamas hanno fatto agli ebrei”

“L’attentato” racconta invece la storia di una kamikaze ritenuta felice, appagata e integrata fino al momento della sua fanatica impresa. E’ un’ottica tanto più convincente quanto più ci sentiamo vicini ai contrastanti sentimenti di fronte alla scoperta che viene fatta dal protagonista, del quale condividiamo, di volta in volta, incredulità, orrore, disperazione, fino a una sorta di rassegnata comprensione dell’inaudito, di ciò che fino a un preciso momento è stato disprezzato e respinto nel mondo delle imprese inaccettabili.  

Che cosa pensare se chi ci vive accanto preferisce morire piuttosto che rinunciare a un’identità nazionale, invece che personale?  Due culture si contrappongono, gli esclusi, i poveri, i diseredati trovano comprensione e sostegno in tutto il mondo, le diplomazie non bastano a fermare le reazioni imprevedibili e inarrestabili di Israele di fronte agli attacchi di Hamas. La descrizione degli stati d’animo, possibilità riservata alla letteratura, è più incisiva di saggi e reportages, più convincente della migliore intervista.

Il protagonista di “L’attentato” è un arabo integrato, un chirurgo di successo, ha amici ebrei, è abituato a doversi guadagnare con fatica benessere e rispetto ma è premiato e vincente in quello che fa. Il suo modo di concepire la vita è ormai lontano dalle origini contadine, sante per certi versi, immerse nei paesaggi patriarcali di una natura ancora intatta, una semplicità del vivere piena di austera bellezza, prima che tutto sia distrutto. Dovrà ricredersi? E’ stato tutto inutile, futile, superfluo? Perché l’arroganza vince sulla giustizia? “Quando le parole sono pericolose e la confusione è ovunque, cosa può fare uno scrittore?” Sembra fargli eco Jelloun nel suo pamphlet sul secolare conflitto arabo-israeliano.

Noi leggiamo in queste pagine la profondità di problemi finora dolorosi quanto irrisolti. Scriverne e leggerne è quel che ci fa sentire umani.

Valeria Jacobacci

Valeria Jacobacci, scrittrice e pubblicista, è appassionata conoscitrice di storia partenopea e di biografie, spesso femminili, di donne che hanno caratterizzato i loro tempi. Si è interessata alla Rivoluzione Napoletana, al passaggio dal Regno borbonico all’Unità, al secolo “breve”, racchiuso fra due guerre. Ha pubblicato numerosi articoli, saggi e romanzi. 

“La scelta” di Sigfrido Ranucci (Bompiani, 2024) – In difesa della libera informazione, di Amedeo Borzillo

Sigfrido Ranucci, giornalista, conduttore di “Report”, è al suo primo libro, che subito ci sorprende per come l’autore intrecci le sue storie d’inchiesta a quelle personali, familiari e d’amore, a dimostrare quanto le seconde abbiano influenzato la sua formazione e supportato le sue fatiche. 

Quasi due libri in uno, a raccontare in otto capitoli le principali inchieste che l’hanno visto impegnato in questi anni ed il loro incrociarsi con la sua vita.

Per Ranucci battersi per la libertà di informazione in Italia è come avere a che fare con un corpo malato talmente abituato a convivere con la patologia da considerarla la normalità. 

Mai condannato nonostante 178 denunce da parte di politici, amministratori pubblici, trafficanti di armi e mafiosi, l’autore subisce da sempre tentativi di dossieraggio nei suoi confronti, di blocco delle inchieste in corso, di sospensione della trasmissione, minacce di morte (vive sotto scorta), querele preventive, ma la forza dell’assoluta veridicità delle sue denunce e della serietà dei suoi approfondimenti nelle inchieste condotte hanno creato attorno a lui un seguito di pubblico forte e molto numeroso, da cui lui trae energia “come braccio di ferro dagli spinaci”. 

Il libro racconta storie di mala informazione e di scandali che i responsabili hanno cercato in ogni modo di insabbiare anche con intimidazioni. 

Due casi su tutti: Parmalat e l’operazione Falluja. Nella prima inchiesta il fallimento di Callisto Tanzi è approfondito attraverso una meticolosa ricerca delle infinite scatole cinesi in cui si cercò di nascondere il pauroso debito finanziario, in parte dovuto anche a mille favori concessi alle Banche ed ai politici; nella seconda, la pessima informazione “embedded” sui fatti di Falluja (bombe al fosforo usate dalle Forze Armate americane in Iraq nel 2004 per soffocare la resistenza) viene invece coraggiosamente affrontata facendo luce su fatti “oscurati” da tutti i media. 

In particolare, relativamente a Parmalat, la scoperta di una pinacoteca di proprietà di Tanzi -nascosta per sottrarla ai sequestri e ritrovata grazie a Report (quadri di Monet, Cézanne, Matisse, Van Gogh, Picasso, Magritte …) – fu un servizio di risonanza internazionale. Ranucci volle comunque evitare lo scoop per dare il tempo al recupero dei beni che sarebbero serviti a rimborsare in parte la collettività; entrando poi nella sua sfera personale, ci racconta come questa scelta (colpo giornalistico o senso del dovere) derivasse dall’insegnamento paterno, sempre impostato sui valori del bene comune, dell’importanza di seguire le regole della giustizia, di affrontare le persone in maniera leale.

Per quanto riguarda l’inchiesta irachena, grazie anche a Rai News, tra mille difficoltà ed impedimenti si svelò l’operazione “Falluja, scuoti e cuoci” che il New York Times riprese segnalando la trasmissione come un “baluardo della libera informazione”: utilizzo di bombe al fosforo per stanare i resistenti (“scuoti”) e liberare la città (“cuoci” col fosforo bianco) compiendo una strage di civili. Tutti i media del mondo furono costretti dopo mesi di complice silenzio a parlare dell’orrore di quell’azione bellica che aveva comportato la morte di centinaia di iracheni bruciati mentre tentavano di scappare.

Mai la Rai in 50 anni di storia aveva realizzato uno scoop mondiale.

Per Ranucci è stato molto difficile difendere l’indipendenza della sua informazione: attacchi da destra e sinistra, dalla politica e dal potere, pressioni e minacce non hanno minato la sua convinzione che l’indipendenza non sia uno stato d’animo, ma un percorso fatto di studio, di approfondimento, di continua ricerca di fonti autorevoli attraverso le quali formarsi opinioni e consentire ad altri di farlo. 

Non mancano nel libro riferimenti letterari proprio sulla necessità di essere informati: Ranucci ce lo ribadisce attraverso le parole di Seth Compton (un personaggio dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters), che per tutta la vita si era dedicato ad una biblioteca circolante “per il bene delle menti avide di sapere”.  Ai cittadini che gli chiedevano a cosa servisse conoscere i mali del mondo, lui rispondeva così: 

Scegli il tuo bene e chiamalo bene.

Perché non sono riuscito a farti capire

che nessuno sa cos’è il bene

se non sa cosa è il male;

e nessuno sa cosa è il vero

se non sa cosa è il falso. 

Ranucci ci tiene a non passare per eroe solitario e fa continuo riferimento al lavoro di equipe. Ci racconta poi della gratitudine che nutre per le persone che hanno creduto in lui ed in particolare per Milena Gabanelli che gli consegnò nel 2017  la conduzione della già affermata ed autorevole trasmissione “Report”, e per Roberto Morrione, fondatore di RAI News 24, che per primo ha creduto in lui e lo ha sempre difeso nei tentativi interni alla RAI di silenziarlo.

Ne “La Scelta” l’Autore coglie l’occasione per esprimere la sua gratitudine ad alcune donne incontrate nel corso della sua vita professionale, alle quali è rimasto legato anche affettivamente. A volte il lavoro ha prevalso sulla costruzione di un rapporto stabile e questo aspetto “intimo” ce lo racconta attraverso le parole di Emilia:

“qualcosa si è rotto. L’ho sentito in questi giorni. Oggi è venuto fuori. Ti lascio libero. Anche se lo sei sempre stato. Ma sono certa che la mia uscita di scena ti faciliterà molte cose. ..

Tu vali. Molto. Prova a fare, del tempo che verrà, un progetto vero.

Emilia

Sigfrido Ranucci, giornalista e scrittore, ha realizzato numerose inchieste sulle stragi di mafia tra le quali l’ultima intervista al giudice Paolo Borsellino. Laureato in Lettere alla Sapienza, ha iniziato la sua carriera lavorando a Paese Sera. Nel 1989 è passato al TG3 dove si è occupato di cronaca, attualità e sport, ma è stato anche inviato nei Balcani e a New York per l’11 settembre 2001. 

Nel 2001 e 2002 ha vinto il primo “Premio per l’informazione Internazionale Satellitare” con un’inchiesta sul traffico di rifiuti radioattivi. Nel 2005 ha vinto il Premio “Ilaria Alpi” per l’inchiesta “Servitù Militari”. 

Sempre nel 2005 ha realizzato “Fallujah, la strage nascosta”, un’inchiesta che ha fatto il giro del mondo e che denunciava l’utilizzo del fosforo bianco da parte dell’esercito americano sui quartieri della città irachena. 

Dal 2017 ha sostituito Milena Gabanelli alla conduzione della trasmissione RAI di inchiesta “Report”.

Amedeo Borzillo