Diario di un sogno possibile. Gino Strada – Nuova Edizione per ragazzi di Amedeo Borzillo

Intervista di Amedeo Borzillo a Giuseppe Fiordelisi, Coordinatore Regionale di Emergency.

Non arrenderti all’ingiustizia, osserva, vivi, fai domande, immagina alternative, inizia ad agire per un mondo diverso. Puoi? Certo: questo libro racconta l’esempio di una persona che lo ha fatto. 

E’ il diario del suo sogno possibile.

Non si può dire che una cosa è impossibile finché non provi a farla. E se vedi che non ci riesci, allora tenta in un modo diverso”: in questo senso l’utopia diventa qualcosa che aspetta di essere costruito

Simonetta Gola, curatrice di questo libro, racconta la filosofia di vita di Gino Strada che gli ha permesso di realizzare ospedali nelle zone martoriate dalla guerra e da emergenze umanitarie in tante parti del mondo. Il libro è un racconto in prima persona, in un linguaggio oserei dire orale, della follia di ogni guerra e di quanto sia importante garantire ad ogni persona il diritto ad essere curati.

Ricordo la presentazione del libro di Gino Strada “Zona Rossa”: erano i tempi terribili del virus Ebola e l’impegno di Emergency fu determinante nei soccorsi e nella cura prestata ai colpiti dalla malattia in Sierra Leone e nelle tante vite salvate. Il vostro intervento colpì per “l’impagabile” ruolo attivo dei volontari di Emergency. Sono 2 anni che Gino ci ha lasciati ma Emergency cresce e lancia nuove sfide: questo libro rivolto ai ragazzi ne è la prova: quale è il vostro obiettivo?

L’obiettivo principale di Emergency è la “Costruzione” di una Cultura di Pace partendo dai ragazzi che rappresentano, ovviamente, il nostro futuro. Per questo il libro di Gino curato da Simonetta è un pezzo molto importante di questo percorso perché scritto da chi la guerra l’ha guardata da vicino, da chi non si è accontentato di riportare racconti ma è entrato in prima persona nei paesi in guerra rischiando continuamente la propria vita convinto che con la propria presenza avrebbe testimoniato l’esistenza del diritto alla cura e con quella testimonianza avrebbe tenuto viva  la speranza di un futuro di Pace. L’esperienza del progetto Nessuno Escluso ha avuto le stesse motivazioni e le stesse basi: rischiare magari qualcosa esponendosi al contatto con le persone che venivano a ritirare i pacchi ma, mostrare alle persone in difficoltà, in quel periodo così delicato e difficile, che è possibile e giusto vedere soddisfatto il desiderio di avere una risposta concreta e pratica al Diritto alla Cura e il Diritto ad avere del cibo per sfamare se stessi e la propria famiglia insomma avere un sostegno per poter andare avanti con dignità. Ovviamente le due esperienze non sono paragonabili però è altrettanto vero che nel nostro piccolo abbiamo fatto “il nostro pezzettino” di (S)strada cosa che ci fa sentire parte del Progetto Emergency.

Nel libro si racconta la vita di Gino Strada e delle tappe percorse nel corso della sua vita: lui suggerisce ai ragazzi di leggerne qualche pagina di sera, prima di addormentarsi. Lo porterete nelle scuole? 

Personalmente ho ricoperto negli ultimi 20 anni il ruolo di Referente del Gruppo Scuola Emergency Napoli ed ho sempre considerato fondamentale incontrare i ragazzi ai quali trasmettere la nostra Idea di Pace ma mi sembra importante sottolineare che nonostante i sacrifici fatti correndo nei ritagli del mio orario di servizio oppure facendo chilometri per raggiungere una scuola ho sempre avuto moltissimo dai ragazzi: è sempre stato un piacere infinito parlare con loro e ascoltare i loro pensieri, i loro dubbi, le loro paure o anche il loro finto menefreghismo. Continueremo ad entrare nelle scuole dove ci chiameranno e porteremo la storia di Gino ed il suo libro perché la sua credibilità ci permetterà, come sempre, di coinvolgere i ragazzi  “costringendoli” a interessarsi e discutere di argomenti che riguardano il loro futuro, le loro scelte personali e il tipo di mondo in cui vivere.

L’anno prossimo Emergency compie 30 anni. Tu l’hai “sposata” sin dall’inizio come volontario. Oggi il mondo assiste al dilagare di guerre anche vicino ai nostri confini. Emergency ha operato anche in Italia per garantire assistenza sanitaria a coloro ai quali  nei fatti era negata: quali sono i progetti cui state lavorando?

Sono entrato in Emergency nel 1999 “fulminato” dall’idea di Gino di offrire Cure Gratuite e di elevata qualità alle vittime delle guerre e della povertà. Mi è sembrato che ci fosse la possibilità di vedere realizzati i miei ideali, i miei sogni, le mie speranze ed è stato così perché in questi anni grazie all’impegno di tanti volontari e ai progetti di Emergency abbiamo dimostrato che è possibile vivere in modo diverso rispettando i Diritti di tutti e non preoccupandoci  di “difendere” quelli che sono semplicemente e orribilmente solo dei “NOSTRI PRIVILEGI”. Poi è vero che in questo momento storico sembra che abbiamo perso la nostra battaglia, sembra che improvvisamente tutti hanno “riscoperto” una sola soluzione ai problemi del mondo: la più vecchia la più inutile la “GUERRA” ma è esattamente il contrario è in questi momenti che è necessario andare avanti aprire nuovi Ospedali e avviare nuovi progetti perché siamo convinti che la stragrande maggioranza delle persone sa perfettamente che la guerra non porta mai ad una soluzione positiva che la guerra è solo morte e forse mai come in questo momento tutti sanno che le vittime delle guerre sono soprattutto i BAMBINI. Tutti sanno che ormai non basta più commuoversi davanti all’immagine di un BAMBINO ucciso ma è arrivato il momento di dire NO, BASTA, FINIAMOLA.  

Emergency si autosostiene solo con donazioni di privati ed un ruolo fondamentale in questa direzione è rappresentato dai Gruppi locali, Che iniziative avete in essere?    

La raccolta fondi di Emergency, fortunatamente, va molto bene. Le persone dimostrano sempre di più di avere fiducia in noi e con orgoglio dico che evidentemente riusciamo a far corrispondere quello che “progettiamo” con quello che facciamo. Poi c’è il grande lavoro dei Volontari dei Gruppi Territoriali in particolare in questo momento sono attive: la campagna  “Un Panettone fatto per bene” e gli Spazi Natale di Emergency. In particolare a Napoli lo Spazio Natale sarà aperto dal 1° al 24° DICEMBRE a Palazzo Venezia ( via Benedetto Croce 19 Spaccanapoli) dove è possibile comprare prodotti artigianali provenienti dai paesi in guerra dove, siamo presenti con i nostri Ospedali, o vari gadget la cui vendita serve a finanziare i nostri progetti. Approfitto per invitare tutti ma proprio tutti a venirci a trovare per acquistare il vostro regalo di Natale per vostra moglie, per i vostri figli, per vostra madre, per una/o cara/o amica/o o per chi volete perché fare un regalo comprando negli Spazi Natale di Emergency farà felice chi riceverà il regalo ma farà felice anche qualcuno che non conoscete e non conoscerete mai ma che ha bisogno di Cure e soprattutto farà felice VOI perché sarete FELICI DI AVER FATTO LA COSA GIUSTA.

Amedeo Borzillo

Uno Strega per la Poesia

Lo scorso 5 ottobre, Vivian Lamarque, autrice di L’amore da vecchia (Mondadori), ha vinto la prima edizione del Premio Strega Poesia.

La Lamarque ha ricevuto dalla giuria 33 voti (su 98 espressi) che le hanno consentito di superare in graduatoria Umberto Fiori, Autoritratto automatico (Garzanti), con 24 voti; Silvia Bre, Le campane (Einaudi), con 17; Stefano Simoncelli, Sotto falso nome (Pequod), con 14; Christian Sinicco, Ballate di Lagosta (Donzelli), con 10 voti.
L’opera vincitrice è stata scelta dagli Amici della poesia, un corpo votante composto da cento donne e uomini di cultura che si occupano a vario titolo di poesia e che comprende anche i componenti del Comitato scientifico del Premio: Maria Grazia Calandrone, Andrea Cortellessa, Mario Desiati, Elisa Donzelli, Roberto Galaverni, Valerio Magrelli, Melania G. Mazzucco,Stefano Petrocchi, Laura Pugno, Antonio Riccardi, Enrico Testa e Gian Mario Villalta.

Nelle motivazioni si legge: «Se è vero che la poesia è un continuo approssimarsi a qualcosa che non sappiamo, Vivian Lamarque compie la sua approssimazione in libri di lievissima crudeltà come quest’ultimo, L’amore da vecchia. Con una grazia senza pietà, l’autrice trattiene il timbro
cristallino dell’infanzia, arriva a mettere nero su bianco la rasserenante uguaglianza fra persona e persona. L’io poetico esposto da Lamarque desidera infatti essere un io collettivo, senza dichiarazioni gigantesche, scrivendo anzi di minime cose, trattando gli astri come cose comuni, avvicinando a sé la grandezza del cosmo per renderla abitabile, confidenziale, come sono elementari le cose reali.”

Vivian Lamarque ha vinto anche il Premio Strega Giovani Poesia col voto di una giuria composta da studenti delle scuole secondarie superiori distribuite in Italia e all’estero.

Intervista a Nando dalla Chiesa di Amedeo Borzillo

Bentornato a Napoli, Nando dalla Chiesa.

Ci siamo già incontrati 3 anni fa in libreria per la presentazione del tuo libro Per fortuna faccio il Prof. cui parteciparono in tanti, soprattutto studenti universitari incuriositi dalle tue sperimentazioni didattiche. Già anticipavi in quel libro una nuova sfida, ricordando a noi tutti che le idee e il cuore smuovono le montagne, e che possono spesso più del denaro.

E rieccoti qui con il tuo nuovo libro ”La legalità è un sentimento” in cui, partendo dalla poesia (idee e cuore), ci parli di affinità tra i destini di legalità e poesia, adorate nelle facoltà e nei salotti ma ignorate o bistrattate nella vita pubblica, per poi giungere, nel definire una strategia di educazione alla legalità, a suggerire di seguire i principi della splendida poesia “Considero valore” di Erri de Luca:

Considero valore ogni forma di vita…

Considero valore tutte le ferite…

Considero valore la stanchezza di chi non si è risparmiato…

Considero valore l’uso del verbo amare…

perché una società basata su questi principi e sentimenti sarebbe impermeabile all’illegalità diffusa.

Ma come si può “insegnare” un sentimento?

Insegnare i sentimenti… bella domanda. I sentimenti si forgiano, si trasmettono, si alimentano. Si comunicano con le parole e con gli esempi, poi si insegna a coltivarli nel tempo, nelle occasioni concrete, anche nelle più difficili. Basti pensare a come bisogna continuamente affinare e rielaborare i sentimenti dell’amore, o dell’amicizia, o lo stesso sentimento del dovere. Ma i sentimenti hanno bisogno di essere suscitati e sostenuti da parole significative: dolci, o orgogliose, o appassionate, o dolorose, che giungano da persone che stimiamo o alle quali vogliamo bene. Devono essere cariche di vita, quelle parole, o almeno deve potersi percepire la vita in cui sono radicate. I sentimenti sono d’altronde anche – questa è la mia esperienza di studioso – la fonte del pensiero o dell’arte che non si accontenta di sé. Chi sta intorno a noi comprende da mille particolari e dettagli in che cosa crediamo veramente. E prima ancora se crediamo in qualcosa. E quando lo capisce impara in ogni caso a provare verso quel “qualcosa” una forma di rispetto, che lo condivida o meno. Ma a quel punto il percorso è avviato: perché il rispetto è un sentimento fondamentale, quello su cui si regge infine ciò che io chiamo “il sentimento della legalità”.

Ci parli di mutazione antropologica generata dai nuovi mezzi di comunicazione di massa, e di spinta al conformismo che risucchia tutte le classi fino a negare lo stesso cuore del progresso sociale, di riclassificazione valoriale della sfera della morale, e qui in Campania viviamo “una peculiarità della situazione sociale” che genera episodi come quello di Caivano che si intersecano con la criminalità organizzata. Da dove partire per rigenerare il valore della legalità e incuneare valori positivi? Dalla scuola o dalla famiglia?

Penso che si debba partire dalla scuola e dalla famiglia insieme. Lo pensano in realtà tutte le teorie funzionaliste o che mettono al centro il tema dell’armonia sociale. E tuttavia oggi alla scuola tocca un vistoso “di più”, una funzione di supplenza, perché – ecco il problema – a nessuno può sfuggire che siamo di fronte alla peggiore generazione di genitori della storia d’Italia. Frutto di distorsioni mentali e di grandiose incongruenze di status: alti redditi e bassa istruzione, oppure alti titoli di studio e bassa cultura civile, o alta percezione di sé e povertà intellettuale. Siamo davanti a un universo sociale in cui si è fatta largo l’idea che i diritti si pratichino a colpi di avvocaticchi o di arbitrio. Che siano un po’ materia da legulei, un po’ materia da maneschi prepotenti. Abbiamo genitori che dovrebbero spesso tornare a scuola e che invece vanno baldanzosamente nella scuola del figlio per insegnare agli insegnanti. Se non si ristabilisce, grazie a una lotta fatta di consapevolezze collettive, il giusto equilibrio cooperativo tra scuola e famiglia, credo che sarà molto difficile costruire valori positivi solidi e resistenti ai venti della storia. Eppure proprio di questi valori abbiamo bisogno come il pane.

L’educazione civica può entrare nella formazione di un bambino dopo che ha interiorizzato i sentimenti, siano essi solidarietà o rispetto o altruismo. Ma con i modelli attuali è davvero possibile?

Qui si colloca in effetti il dibattito su “quale educazione civica”. C’è chi pensa che l’educazione civica consista alla fine nell’insegnamento della Costituzione. Ecco, su questo ho seri dubbi. L’insegnamento della Costituzione, da intendere come insieme di norme generali, rientra certo nell’educazione civica. Ma quest’ultima va molto oltre. Implica un insieme di valori e di riferimenti morali che permette al giovane e al giovanissimo di camminare nella realtà quotidiana avendo sempre una bussola. L’importante è imparare lo “spirito” della Costituzione. Poi ci sta pure, perché è comunque cosa buona e giusta, imparare l’architettura delle nostre istituzioni. Ma prima c’è lo “spirito”, ossia ciò che ci orienta nelle mille scelte quotidiane che si sottraggono per definizione alle leggi scritte. Ciò che ci rende a tutti gli effetti bravi cittadini, guidati dai valori della libertà e della solidarietà. Qui trova il suo posto la memoria viva di chi è caduto per difendere le istituzioni e i nostri diritti.

La lezione di Valerio Onida, come tu scrivi, ci insegna che solo la strada della memoria può incidere sulla personalità degli individui, soprattutto se adolescenti. Un tessuto di racconti, che ci dia la percezione di essere società che fa la storia, convincendoci che ognuno può fare qualcosa. Cosa ci direbbe oggi Calamandrei ?

Appunto, Calamandrei. Oggi ci ricorderebbe altri martiri, in più, oltre a quelli caduti sulle vette innevate, nei campi o nelle carceri fasciste. Ci parlerebbe di chi è caduto contro la mafia o il terrorismo, e insieme ci restituirebbe la giovinezza della Resistenza. Non ci presenterebbe quei caduti come eroi, ma nemmeno come persone (perché anche questa retorica sta spuntando) che hanno semplicemente “fatto il proprio dovere”. Ce ne consegnerebbe piuttosto il valore, e ci richiamerebbe ai grandi valori che li hanno guidati. Educare civicamente è questo: costruire una trama sensibile di esempi, lontani o vicini a noi, farli diventare parte di noi. Proprio così, “parte di noi”. Solo grazie a questo meccanismo bellissimo Palermo, la città per definizione e per storia più mafiosa d’Italia, poté trovarsi un giorno a essere “la capitale dell’antimafia”.

Amedeo Borzillo