Josephine Johnson: L’isola dentro l’isola (Bompiani Gaia), di Cristina Marra

“E’ semplicemente un bellissimo libro; è un libro sulla natura come lo è Walden. Dovrebbero leggerlo tutti coloro che conservano la capacità di provare qualcosa”, questo estratto di John Leonard del New York Times compare nel retro copertina di L’isola dentro l’isola della scrittrice americana  Josephine Johnson nell’edizione che Bompiani propone nella deliziosa collana Gaia con la traduzione di Beatrice Masini e le illustrazioni di Chiara  Palillo. Vincitrice del premio Pulitzer nel 1935, l’autrice pubblica L’isola dentro l’isola ( The Inland Island. A Year in Nature) nel 1969.

I dodici mesi dell’anno vengono resi in dodici capitoli e diventano il racconto di bellezze naturali straordinarie ma anche di orrori che stanno fuori dalla sua tenuta in campagna in Ohio, dove ambienta le storie, e che invadono il mondo esterno e la toccano nell’animo. La scrittrice racconta, evoca, riporta scene a lei familiari che hanno per protagonisti alberi, vegetazioni, animali e soprattutto uccelli , sono più numerosi loro degli altri animali in questa foresta passata o futura, e un uccello nuovo mi riconcilia con la giornata. Come in un calendario si comincia da gennaio che nello stato dell’Ohio, privo di oceano, privo di monti, temperato dai fiumi, non è un mese furibondo di bufere e poi  febbraio la cui luce bianca non va bene per fissare le cose troppo a lungo, e marzo col suo vento glorioso e pagano. Soffia lontano mille chilometri la polvere della nostra vita. Noi leggiamo la polvere. Se reca un messaggio mortifero sta a noi saperlo e si prosegue tra storie di cottage ricostruiti, incontri con le volpi, paralleli tra il mondo animale e quello umano.

L’autrice spesso si sofferma sulla sua condizione di donna, il desiderio di essere una grande scrittrice a tutti i costi non tornerà. Sono troppo vecchia e il prezzo è troppo alto. Non posso rinunciare a tutto il resto di me, al mio affollato me. A tutto l’indisciplinato, caotico branco di donne e bambine che vivono dentro di me”. La Johnson non si risparmia e urla il suo amore per la natura che diventa un urlo di pace e stanchezza di guerra.  Come avvisa la traduttrice, i nomi di flora e fauna sono spesso lasciati coi nomi scientifici o i nomi comuni originali sono stati tradotti letteralmente perché sarebbe stato un peccato perdere  l’immagine che evocano, il primo sguardo posato su un frullo d’ali o sulla piega di una foglia, le radici native, lo sforzo di trovare nelle parole quotidiane e ordinarie un modo di dire quell’essere, quel fiore.

Il libro è un viaggio, una riflessione, un quadro , un calendario del cuore immancabile nella biblioteca dei randagi

Cristina Marra