“La cuffia bianca chiusa nel pugno, i capelli che si irradiano intorno al mio viso come una rosa, sollevati dal vento dei molti mari”
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‘’Il Diavolo saltabecca tra le nubi d’autunno che sembrano lembi di pelle staccata. Il Diavolo ancheggia, il Diavolo danza. Danza come farebbe una fanciulla dai fianchi sottili, i capelli che le ricadono scarmigliati sulle spalle. Fiammeggiante. Ora che le notti si sono allungate, di sera potrebbe presentarsi di porta in porta assumendo le sembianze di un ambulante dalla carnagione scura, che apre il cappotto alle comari e alle donzelle stupefatte…’’

Con ‘Le streghe di Mannintree’ ci troviamo davanti a una narrazione d’esordio potentissima, quella di Amy Katrina Blakemore che ha realizzato uno dei migliori romanzi storici mai scritti da decenni e pubblicato di recente da Fazi.
In inglese la parola strega, witch, deriva dalla parola wicce, che vuol dire mago, veggente, sciamano. Ma può significare anche saggio. La strega è una donna saggia. A partire dal Rinascimento in Europa si scatenò una violenta persecuzione verso donne accusate di essere streghe, di unirsi carnalmente con il diavolo, di provocare tormente, di volare. Sulla base di queste assurde accuse, in tre secoli furono assassinate almeno tre milioni di donne, oltre a quelle esclusivamente incarcerate, interrogate e torturate per poi essere costrette all’abiura. È impossibile conoscere il numero esatto dei processi in quanto molti atti non sono conservati. È stato l’Olocausto delle donne, considerate le emissarie del diavolo. In realtà queste donne vivevano ai margini della società, ed erano spesso molto stimate nei borghi e nei paesi, anche se considerate strane, bizzarre; esse a volte svolgevano il mestiere di curatrici e levatrici, erano donne sagge che sapevano di erbe e di unguenti. Il mestiere di curare il corpo, e a volte anche l’anima, si trasmetteva di madre in figlia. A volte, come si racconta in questo romanzo, si trattava esclusivamente di donne povere, sole e con esistenze vissute ai margini della società.
Come è noto già nel 1484 una Bolla papale di Innocenzo VIII ha consegnato al furore del fuoco molte donne sospettate di adorare il Diavolo a cui è seguita la famosa opera scritta nel 1486 di due inquisitori domenicani chiamata, Malleus Maleficarum. In quest’opera viene detto che ‘’la stregoneria sorge dall’appetito carnale che nelle donne è insaziabile’’, che ‘’quando una donna pensa con la propria testa, pensa male’’ e così via. Dopo più di due secoli questo libro girava ancora per l’Europa, e attraverso le sue parole si poteva ancora perseguitare e uccidere. E questo appunto avviene nella storia de ‘Le streghe di Manningtree’, dove colpisce sia la particolarità della vicenda realmente accaduta che la descrizione analitica di alcuni personaggi davvero esistiti, tuttavia, come sempre avviene nel romanzo storico, l’invenzione, si mescola alle fonti ai dati documentati e in questo caso, a tratti, si intreccia anche ad elementi surreali di grande visività.

Come la stessa Blakemore precisa nella nota finale relativa alla caccia alle streghe in Inghilterra ‘’John Stearne e Matthew Hopkins negli anni che vanno dal 1644 al 1646 si stima abbiano contribuito alla condanna a morte per stregoneria di un numero di donne che oscilla tra le cento e le trecento, oltre ad alcuni uomini …la caccia alle streghe durante la guerra civile fu un periodo di persecuzione senza precedenti che gli storici hanno attribuito a una miriade di fattori sociali, religiosi economici e locali: il vuoto delle istituzioni e la carestia diffusa generati dalla guerra, un anticattolicesimo virulento…>>. L’evento si svolge nella contea dell’Essex, in cui un gruppo di donne, vedove o nubili, povere, spesso sboccate, dalla lingua tagliente e poco remissive, tra cui spicca la madre della protagonista Rebecca, la cosiddetta Beldam West (bella e dannata), -definita dalla stessa figlia ‘donnaccia, compagna di bevute, madre’– a causa di una circostanza tragica (l’improvvisa malattia e la morte inspiegabile di un bambino), verranno accusate di stregoneria. In questo contesto compare e agisce come un uccello del malaugurio il personaggio di Matthew Hopkins, figura poco chiara di nuovo locandiere, avvocato e soprattutto di sedicente Inquisitore generale. Con maestria la Blakemore ci descrive un uomo della cui vita storicamente si conosce poco, l’unica cosa certa è che sia morto molto giovane di tubercolosi, ma, come ella stessa specifica; ‘’non ci è dato sapere se veramente credeva alla sua causa aderendo al dogma puritano della narrazione e quindi alla necessaria estirpazione della stregoneria oppure se fosse solo un vile opportunista assetato di denaro’’. L’autrice ci racconta un uomo sfaccettato, contorto, assetato di potere, freddo e provvisto di una crudeltà sottile, che tuttavia si commuove e si invaghisce a suo modo di Rebecca West, decidendo in qualche maniera di salvarla; si instaura infatti fra i due un rapporto simile a quello tra una vittima e un carnefice, che tuttavia alla fine si ribalterà in maniera assolutamente inaspettata a favore della ragazza.
Colpisce inoltre moltissimo lo stile della Blakemore; innovativo, originale, lirico e fiabesco (si vuole ricordare anche l’ottima traduzione di Velia Februari), con il quale realizza una narrazione di grande visività in cui si uniscono immaginifico e reale, mistero e ferocia. Si tratta di un linguaggio a tratti lirico, sempre evocativo. Il personaggio di Rebecca West spicca in un sapiente amalgama di acume mentale, giovinezza e disincanto.Si tratta di un personaggio complesso con un suo microcosmo intimo e personale, con una spinta e un desiderio di vivere molteplici esperienze in varie direzioni; dall’esplorazione della natura, alla sperimentazione dell’amore, alla conoscenza del mistero e del sovrannaturale. Spinta dalla crudezza della realtà acquisterà il necessario disincanto per sopravvivere, sceglierà di mentire, ma al tempo stesso proverà rabbia, si vendicherà e infine la sua sarà una vera e propria ricerca di libertà. Blakemore le reinventa una vita perché nella realtà dei fatti storici documentati, come viene chiarito nella nota finale, il nome di Rebecca West, dopo la confessione, sparisce dagli atti processuali e di lei si perde ogni traccia, ma nell’invenzione letteraria dell’autrice la vita del suo personaggio continua in una forma assai originale.

Nonostante ‘Le streghe di Manningtree’ si riferisca a una vicenda storica realmente accaduta nel 600’ può definirsi un romanzo estremamente moderno per il modo in cui indaga sulle convenzioni e le regole di un sistema sociale molto rigido e ristretto, dove chi non è conforme, chi non è omologato, chi vive una qualsiasi forma di diversità può facilmente diventare il capro espiatorio di un’intera comunità. Inoltre è moderna e disincantata la maniera in cui l’autrice indaga nel rapporto tra madre e figlia. Tra la Beldam West e Rebecca West persiste fino alla fine una dinamica affettiva conflittuale di luci e ombre, rabbia e desiderio di annientamento reciproco, ma nello stesso tempo di grande complicità e vicinanza. Alla fine sarà la stessa Beldam West a incitare la figlia a prestare falsa testimonianza per salvarsi la vita. La Blakemore, immaginando un destino diverso per Rebecca West, attraverso una narrazione viscerale e magmatica, pone l’attenzione sull’istinto di sopravvivenza e su un’aspirazione alla libertà valida in qualsiasi tempo. Un libro potente e folgorante che ci parla con sincerità di libero arbitrio.
Cristiana Buccarelli

Cristiana Buccarelli è una scrittrice di Vibo Valentia e vive a Napoli. È dottore di ricerca in Storia del diritto romano. Ha vinto nel 2012 la XXXVIII edizione del Premio internazionale di Poesia e letteratura ‘Nuove lettere’ presso l’Istituto italiano di cultura di Napoli. Conduce annualmente laboratori e stage di scrittura narrativa. Ha pubblicato la raccolta di racconti Gli spazi invisibili (La Quercia editore) nel 2015, il romanzo Il punto Zenit (La Quercia editore) nel 2017 ed Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) nel 2019, presentati tutti in edizioni diverse al Festival di letteratura italiana Leggere&Scrivere. Con il libro Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) ha vinto per la narrativa la V edizione del Premio Melissa Cultura 2020 e la IV edizione Premio Internazionale Castrovillari Città Cultura 2020. Nel 2020 è stata pubblicata a sua cura la raccolta Sguardo parola e mito (IOD Edizioni).

Nel 2021 ha pubblicato il suo primo romanzo storico I falò nel bosco (IOD Edizioni), presentato all’interno di Vibo Valentia Capitale italiana del libro 2021 al Festival di letteratura italiana Leggere&Scrivere e nel Festival Alchimie e linguaggi di donne 2022 a Narni. Nel 2022 ha ricevuto menzione d’onore con un racconto alla III edizione del Premio Carlo Gesualdo e alla II edizione del Premio I Ponti dell’Arte, inoltre è stata pubblicata a sua cura la raccolta In viaggio (Cervino Editore 2022). Nel 2023 ha pubblicato il romanzo Un tempo di mezzo secolo (IOD Edizioni).

