Pedro Juan Gutierrez: un randagio Houellebecq meticcio di Gigi Agnano

Per leggere i miei libri devi essere giovane dentro. Forse
hai sessant’anni, ma sei giovane dentro
.

Venticinque anni fa, Pedro Juan Gutiérrez (Matanzas, 1950) pubblicava in una ventina di Paesi la Trilogia sporca dell’Avana – in Italia edita da e/o -, una raccolta di storie feroci che ripercorreva gli anni Novanta di un Paese dissanguato dalla crisi economica e devastato dal brutale passaggio del Niño.
Il libro ebbe un notevole impatto internazionale, ma non piacque ai burocrati del partito e ad oggi non è mai stato pubblicato a Cuba. L’autore da quel momento venne considerato “scomodo” e, pur senza essere mai stato un “dissidente” o aver mai pensato di vivere altrove, perse il lavoro di giornalista, professione per la quale aveva studiato e che esercitava da ventisei anni.

Non sto facendo politica, lascio un ricordo del tempo e del luogo in cui ho vissuto.

La Trilogia – che non è un’autobiografia pur contenendo molti elementi autobiografici – è un reportage spietato, a volte disturbante, della povertà materiale e della miseria morale di un popolo emarginato che si batte e si sbatte ogni giorno per procurarsi quel minimo di cibo, fumo, rum e sesso per sopravvivere. Esseri in un momento di enorme disagio e sofferenza, sull’orlo del baratro, ma con una furiosa voglia di godere il pochissimo a disposizione.

Perché devi prostituirti per guadagnare un dollaro? Perché devi comportarti da canaglia per sopravvivere? Queste sono le domande che mi pongo continuamente.

Gutierrez attraversa, descrivendola nei suoi aspetti più miserabili e intimi, la vita di transessuali, prostitute, jineteras, criminali, personaggi tormentati, ubriaconi, imbroglioni, poliziotti. A volte tragico, a volte spiritoso di frizzante umorismo caraibico, è scandaloso, esagerato, anarchico, osceno, sboccato, volgare, selvaggio, provocatore; il tutto per dar voce a quelli che sono incapaci di elaborare un pensiero, ad animali fatti di solo istinto e qualche sentimento, troppo presi dalle
difficoltà di sbarcare il lunario. In poche pagine siamo immersi in un mondo ai margini, insano di un Paese lontano che ci diventa sempre più familiare.

Non avrei mai pensato che avrei scritto così tanto perché pensavo di non avere così tante cose da dire.

È stato detto più volte che Gutiérrez è il Bukowski cubano per gli stessi abusi di alcol e di sesso esplicito, un Bukowski a ritmo di conga; che è l’erede del “realismo sporco” di Carver o di Ford o della connazionale Zoé Valdés, per la prosa asciutta, concisa e il periodare secco, veloce, senza lustrini o eufemismi. Alcuni ammiratori, riconoscendone un purissimo talento narrativo, l’hanno paragonato – più o meno a ragione – a scrittori americani del calibro di Hemingway o di Capote o di Tom Wolfe o di Henry Miller, di Sherwood Anderson o Grace Paley o Norman Mailer. Ma Gutiérrez è semplicemente Pedro Juan, il protagonista alter ego della Trilogia, solitario, affamato, che frequenta le catapecchie più fetide, i palazzi sgarrupati con l’ascensore rotto per sempre e gli inquilini che cacano per le scale; che gira per i vicoli più sporchi di Old Habana con un sigaro scadente in bocca, in strade di prostitute e turisti scimuniti, che scrive delle persone che gli capita di incontrare, di antieroi, come Lisetta Carmi camminava per i caruggi di Genova fotografando travestiti.

Non mi piace quella letteratura (sudamericana) che abusa della lingua, usa l’eccesso, il barocco, che usa cinque pagine per raccontare un’idea di cinque righe. È un accanimento nei confronti del lettore, un’usurpazione del suo tempo.

Paragoni illustri, quindi, che ne esaltano il valore letterario, ma anche accuse da parte dei tanti detrattori di rozzezza, di machismo e di pornografia per la sessualità cruda, sfrenata, violenta al limite del brutale, presente nella stragrande maggioranza dei suoi racconti. Potreste non amare questa letteratura che emana “un misto di tabacco, aguardiente, sporcizia, sperma, merda, lenzuola sudate, fame, stanchezza, sonno, sbronze di lunga data”. In ogni caso, però, Pedro Juan Gutiérrez non vi risulterà indifferente. In un’epoca di stratagemmi commerciali e di politicamente corretto, noi ne abbiamo apprezzato l’autenticità, la naturalezza narrativa e siamo diventati lettori fedeli di questo randagio Houellebecq meticcio.

Ma, per finire, ascoltiamolo:

Io sono costruito con i denti
del serpente
e l’ululato del lupo
e il brillio del pesce
e l’astuzia della tigre
e la potenza del toro.
Io sono un nitrito selvaggio
degli dèi
e un cuore d’agnello
da dove sgorga sangue rosso e caldo.
Io sono quest’uomo che attraversa
la città per guardarti negli occhi
e odorare la tua pelle e respirare profondamente
e infilarmi dentro di te
fino a toccarti le ossa
e dirti
questo è tutto quello che posso fare.

Gigi Agnano