Paul Auster: “L’invenzione della solitudine” (Einaudi, trad. Massimo Bocchiola), di Vincenzo Vacca

Il libro di Paul Auster, “L’ invenzione della solitudine” , si divide in due parti. La prima è intitolata “Ritratto di un uomo invisibile” e narra delle emozioni e dei ricordi di un uomo  – costituisce una parziale autobiografia dello stesso autore  – in ordine alle caratteristiche del  rapporto che sin dalla nascita ha avuto con il proprio padre.

Lo stile è semplice, particolarmente ricco di significati, e molto introspettivo e personale.

Auster segue l’ onda dei ricordi e, pertanto, scava senza infingimenti la figura del padre e come questi riteneva opportuno esercitare la sua figura paterna.

In realtà, il lettore verrà a conoscenza di una vicenda fortemente drammatica che investì il padre dello scrittore in tenera età, segnandolo profondamente. 

Di conseguenza, ne risentì anche l’ intera relazione tra genitore e figlio. 

Una relazione oscura, costituita da affetto negato o, quanto meno, non espresso.

Lo scrittore, dopo la morte del padre, si ritrova a dover svuotare la casa di quest’ultimo, “una abitazione imponente” che diceva molto “del suo mondo interiore”.

Una abitazione che non veniva pulita anche se esteriormente sembrava in un buon stato: un perfetto rispecchiamento di chi ci abitava, vale a dire di una persona che apparentemente sembrava equilibrata, calma ma, invece, era preda di una forte rabbia trattenuta a stento.

Il libro è una sorta di continua spola tra passato e presente, nonché è attraversato da una ricerca di significato nei confronti del comportamento delle persone ma anche nel rapporto tra le stesse e gli oggetti.

La morte del padre è per Paul Auster una causa scatenante per confrontarsi con se stesso, con il proprio passato e futuro. Uno sprone per cercare attivamente le risposte alle domande che la vita ci pone continuamente e provando, quindi, a non essere travolti dal caso.

È chiaro che il viaggio interiore porta a galla inevitabilmente emozioni assopite che adesso, con la morte improvvisa del padre, vengono a galla tutte insieme e l’ uomo prova quasi una sensazione di soffocamento. Infatti, fin da piccolo ha cercato inutilmente di avvicinarsi al proprio genitore, impermeabile alle emozioni.

Ha provato a legarsi a lui, a sentirsi amato, ma il tutto è rimasto nell’ ambito dei desideri.

Ecco perché la scrittura diventa lo strumento per andare a fondo in quanto lo scrittore si sente in qualche modo protetto dalle sue stesse parole.

La scrittura come ancora di salvezza per un uomo che ha avuto un padre che ha scelto la solitudine per sé e per tutti quelli che a lui sono vicini.

Con la  seconda parte del libro, intitolata “Il libro della memoria“, l’ autore analizza in modo meno lineare il proprio io nel rapporto con il figlio Daniel.

In questa seconda parte, volutamente frammentaria, composta di immagini, istantanee, citazioni e pensieri, Auster credo che voglia comunicare la difficoltà ad essere padre, il fondato timore di non riuscire a trasmettere fino in fondo l’ amore per il figlio.

Ne viene fuori, però,  una certa verbosità, non priva però di genialità e di originalità, basti pensare alle considerazioni sul caso e come esso può influenzare la nostra vita. 

È  sublime lo scavo dell’ intimità poetica che fa Auster di un bambino mentre gioca. Il gioco come anticipazione di un mondo a cui aspira il bambino. 

Lo scrittore, citando Freud, afferma che:

 ” l’ attività poetica quanto la fantasticheria costituiscono una continuazione e un sostitutivo del primitivo gioco di bimbi”

Paul Auster è stato un gigante della letteratura e questo libro permette di gustare molto bene il suo stile di scrittura. 

Vincenzo Vacca 

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