Intervista a Nando dalla Chiesa di Amedeo Borzillo

Bentornato a Napoli, Nando dalla Chiesa.

Ci siamo già incontrati 3 anni fa in libreria per la presentazione del tuo libro Per fortuna faccio il Prof. cui parteciparono in tanti, soprattutto studenti universitari incuriositi dalle tue sperimentazioni didattiche. Già anticipavi in quel libro una nuova sfida, ricordando a noi tutti che le idee e il cuore smuovono le montagne, e che possono spesso più del denaro.

E rieccoti qui con il tuo nuovo libro ”La legalità è un sentimento” in cui, partendo dalla poesia (idee e cuore), ci parli di affinità tra i destini di legalità e poesia, adorate nelle facoltà e nei salotti ma ignorate o bistrattate nella vita pubblica, per poi giungere, nel definire una strategia di educazione alla legalità, a suggerire di seguire i principi della splendida poesia “Considero valore” di Erri de Luca:

Considero valore ogni forma di vita…

Considero valore tutte le ferite…

Considero valore la stanchezza di chi non si è risparmiato…

Considero valore l’uso del verbo amare…

perché una società basata su questi principi e sentimenti sarebbe impermeabile all’illegalità diffusa.

Ma come si può “insegnare” un sentimento?

Insegnare i sentimenti… bella domanda. I sentimenti si forgiano, si trasmettono, si alimentano. Si comunicano con le parole e con gli esempi, poi si insegna a coltivarli nel tempo, nelle occasioni concrete, anche nelle più difficili. Basti pensare a come bisogna continuamente affinare e rielaborare i sentimenti dell’amore, o dell’amicizia, o lo stesso sentimento del dovere. Ma i sentimenti hanno bisogno di essere suscitati e sostenuti da parole significative: dolci, o orgogliose, o appassionate, o dolorose, che giungano da persone che stimiamo o alle quali vogliamo bene. Devono essere cariche di vita, quelle parole, o almeno deve potersi percepire la vita in cui sono radicate. I sentimenti sono d’altronde anche – questa è la mia esperienza di studioso – la fonte del pensiero o dell’arte che non si accontenta di sé. Chi sta intorno a noi comprende da mille particolari e dettagli in che cosa crediamo veramente. E prima ancora se crediamo in qualcosa. E quando lo capisce impara in ogni caso a provare verso quel “qualcosa” una forma di rispetto, che lo condivida o meno. Ma a quel punto il percorso è avviato: perché il rispetto è un sentimento fondamentale, quello su cui si regge infine ciò che io chiamo “il sentimento della legalità”.

Ci parli di mutazione antropologica generata dai nuovi mezzi di comunicazione di massa, e di spinta al conformismo che risucchia tutte le classi fino a negare lo stesso cuore del progresso sociale, di riclassificazione valoriale della sfera della morale, e qui in Campania viviamo “una peculiarità della situazione sociale” che genera episodi come quello di Caivano che si intersecano con la criminalità organizzata. Da dove partire per rigenerare il valore della legalità e incuneare valori positivi? Dalla scuola o dalla famiglia?

Penso che si debba partire dalla scuola e dalla famiglia insieme. Lo pensano in realtà tutte le teorie funzionaliste o che mettono al centro il tema dell’armonia sociale. E tuttavia oggi alla scuola tocca un vistoso “di più”, una funzione di supplenza, perché – ecco il problema – a nessuno può sfuggire che siamo di fronte alla peggiore generazione di genitori della storia d’Italia. Frutto di distorsioni mentali e di grandiose incongruenze di status: alti redditi e bassa istruzione, oppure alti titoli di studio e bassa cultura civile, o alta percezione di sé e povertà intellettuale. Siamo davanti a un universo sociale in cui si è fatta largo l’idea che i diritti si pratichino a colpi di avvocaticchi o di arbitrio. Che siano un po’ materia da legulei, un po’ materia da maneschi prepotenti. Abbiamo genitori che dovrebbero spesso tornare a scuola e che invece vanno baldanzosamente nella scuola del figlio per insegnare agli insegnanti. Se non si ristabilisce, grazie a una lotta fatta di consapevolezze collettive, il giusto equilibrio cooperativo tra scuola e famiglia, credo che sarà molto difficile costruire valori positivi solidi e resistenti ai venti della storia. Eppure proprio di questi valori abbiamo bisogno come il pane.

L’educazione civica può entrare nella formazione di un bambino dopo che ha interiorizzato i sentimenti, siano essi solidarietà o rispetto o altruismo. Ma con i modelli attuali è davvero possibile?

Qui si colloca in effetti il dibattito su “quale educazione civica”. C’è chi pensa che l’educazione civica consista alla fine nell’insegnamento della Costituzione. Ecco, su questo ho seri dubbi. L’insegnamento della Costituzione, da intendere come insieme di norme generali, rientra certo nell’educazione civica. Ma quest’ultima va molto oltre. Implica un insieme di valori e di riferimenti morali che permette al giovane e al giovanissimo di camminare nella realtà quotidiana avendo sempre una bussola. L’importante è imparare lo “spirito” della Costituzione. Poi ci sta pure, perché è comunque cosa buona e giusta, imparare l’architettura delle nostre istituzioni. Ma prima c’è lo “spirito”, ossia ciò che ci orienta nelle mille scelte quotidiane che si sottraggono per definizione alle leggi scritte. Ciò che ci rende a tutti gli effetti bravi cittadini, guidati dai valori della libertà e della solidarietà. Qui trova il suo posto la memoria viva di chi è caduto per difendere le istituzioni e i nostri diritti.

La lezione di Valerio Onida, come tu scrivi, ci insegna che solo la strada della memoria può incidere sulla personalità degli individui, soprattutto se adolescenti. Un tessuto di racconti, che ci dia la percezione di essere società che fa la storia, convincendoci che ognuno può fare qualcosa. Cosa ci direbbe oggi Calamandrei ?

Appunto, Calamandrei. Oggi ci ricorderebbe altri martiri, in più, oltre a quelli caduti sulle vette innevate, nei campi o nelle carceri fasciste. Ci parlerebbe di chi è caduto contro la mafia o il terrorismo, e insieme ci restituirebbe la giovinezza della Resistenza. Non ci presenterebbe quei caduti come eroi, ma nemmeno come persone (perché anche questa retorica sta spuntando) che hanno semplicemente “fatto il proprio dovere”. Ce ne consegnerebbe piuttosto il valore, e ci richiamerebbe ai grandi valori che li hanno guidati. Educare civicamente è questo: costruire una trama sensibile di esempi, lontani o vicini a noi, farli diventare parte di noi. Proprio così, “parte di noi”. Solo grazie a questo meccanismo bellissimo Palermo, la città per definizione e per storia più mafiosa d’Italia, poté trovarsi un giorno a essere “la capitale dell’antimafia”.

Amedeo Borzillo

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