Jane Austen: “L’abbazia di Northanger” (Edizioni Theoria, trad. di Silvia Fiorini), di Veronica Saporito

L’abbazia di Northanger è uno dei libri meno conosciuti ma anche più insoliti di Jane Austen. Un romanzo in stile gotico che accompagna le vicende della sua anti-eroina, Catherine Morland, e che ben si differenzia dai romanzi dell’autrice a cui siamo abituati. Scritto per primo fu pubblicato postumo solo nel 1818 insieme a Persuasione, dallo stesso editore che aveva pubblicato Emma qualche anno prima. 

A guidare le vicende di questa eccentrica storia è Catherine, una giovane ragazza di diciassette anni che vive con la sua famiglia in un piccolo paesino di campagna, dove la monotonia e lo stile di vita semplice ed ordinario non rendono facile fare nuove conoscenze. L’unico svago è rappresentato da alcune visite ad amici di famiglia e vicini di casa, tra cui gli Allen, i quali la invitano a trascorrere qualche settimana con loro nella cittadina di Bath, occasione che la giovane coglie al volo e con entusiasmo. 

Catherine non è mai stata particolarmente avvezza allo studio o alle mansioni domestiche, frequenti sono infatti le allusioni dell’autrice al fatto che non sia la classica eroina che ci aspetta dai romanzi, in quanto ragazza dai modi semplici, di una bellezza scialba ed incolore, e senza alcun talento particolare, se non la sua grande passione per i romanzi gotici. Bath è il luogo ideale per fare il proprio debutto in società: eventi mondani, serate a teatro, occasioni di ritrovo in cui contano solo la forma e le apparenze. 

“Vorrete concedermi che nella coppia l’uomo ha il privilegio della scelta, e la donna soltanto la facoltà di rifiutare”

Ed è proprio in queste circostanze che Catherine conosce due famiglie piuttosto influenti, i Thorpe ed i Tinley. I primi che le impongono prepotentemente la loro presenza ed i secondi di cui aspira invece a farne parte, complice il tenero incontro con Henry, uno dei figli del Generale Tinley

“Ogni giovane signora può sentirsi vicina alla mia eroina in questo momento fatale, poiché ogni giovane signora ha, in un momento della sua vita, conosciuto un analogo turbamento. Tutte sono state, o quanto meno si sono credute, in pericolo per l’attenzione di qualcuno che desideravano allontanare, e tutte sono state ansiose e desiderose delle attenzioni di qualcuno al quale volevano piacere.”

Tinley invitano a loro volta Catherine a passare qualche giorno con loro presso l’ex abbazia di Northanger, un’antica dimora di loro proprietà che a prima vista sembra essere la perfetta scena di un crimine misterioso, proprio come i romanzi gotici a cui è tanto appassionata. E così, fantasticherie di ogni genere iniziano a farsi strada attraverso la sua fervida immaginazione. 

Ma non è l’unica incomprensione di questa strana vicenda: il Generale Tinley crede di avere di fronte una ricca ereditiera come futura nuora di suo figlio, e che giustifica il suo invito presso l’abbazia che altrimenti non avrebbe avuto luogo. Uno spiacevole malinteso che tuttavia non impedisce all’eroina di questa storia di ottenere il suo tanto atteso lieto fine. 

Catherine è una ragazza dei giorni nostri: inconsapevole del proprio avvenire, semplice e senza grilli per la testa, piena di sogni e speranze per il futuro. Contestualmente viene dipinta anche come una ragazza ingenua, poco posata, non particolarmente avvenente o talentuosa, e che possono essere considerati tutti degli espedienti che l’autrice utilizza per dare un carattere di maggiore autenticità al personaggio.

Pur essendo la prima opera di Jane Austen, e quindi stilisticamente prematura, è indubbio il suo modo elegante e raffinato di ricreare scene ed ambientazioni, che rende i suoi racconti mai privi di personalità. L’elemento gotico e quello romantico viaggiano ad una sintonia perfetta, creando un’atmosfera misteriosa e suggestiva, e rendendo quest’opera decisamente insolita rispetto allo stile più tradizionale di Jane Austen. Quello che invece non sappiamo è il perché l’autrice ci da solo un breve e frettoloso assaggio dell’abbazia, il luogo dove si manifesta l’elemento più spooky della storia ed il cui ruolo viene confinato soltanto agli ultimi capitoli. 

Un classico non solo originale ma anche profondamente attuale.

Veronica Saporito

Veronica Saporito: Specializzata in Finanza e Controllo presso una rinomata azienda nel settore della nutrizione sportiva. Appassionata lettrice, dal 2020 scrive di libri su Instagram dove è conosciuta come thatslibridine, e sul suo blog: www.libridine.net, a cui è legata anche una newsletter mensileCollabora con case editrici, uffici stampa, ed ha supportato come media partner il festival letterario comasco Parolario Junior.

Fabio Genovesi: “Il calamaro gigante” (Feltrinelli), di Veronica Saporito

Dare un’etichetta a questo libro, o semplicemente confinarlo in un unico genere letterario, non è un’impresa affatto scontata. Ma in fin dei conti non è questo lo scopo, è un libro che spazia tra un’infinità di cose talmente differenti tra loro, che è perfettamente normale avere la sensazione di perdere il filo del discorso. Ma a volte è necessario perdersi per ritrovarsi, ed è esattamente quello che accade tra queste pagine: un viaggio fatto di ricordi, aneddoti, storie attuali e di epoche ben più lontane, con l’umorismo e la delicatezza tipici di Fabio Genovesi.

Già, perché dietro una storia può celarsi un intero universo. Siamo così abituati a vivere secondo regole e rigidi schemi, e a considerare vero solo ciò che è reso inconfutabile dalle prove, che spesso ci perdiamo la potenza e la meraviglia delle storie, soprattutto di quelle che ci riguardano e che nel tempo ci hanno resi quello che siamo. L’autore calca piuttosto la mano su questo aspetto, dicendoci che “Uno può elencare le cause e le conseguenze politiche della Seconda Guerra Mondiale, ma non ha idea di come ha fatto suo nonno a sopravvivere mentre la combatteva, né quando ha conosciuto la nonna, e come hanno fatto a rimanere insieme tutta la vita… Eppure, sono queste le nostre storie, sono scritte in minuscolo ma addosso a noi, e senza di loro semplicemente non saremmo qui.”

Il calamaro gigante non è solo il titolo del libro ma è la metafora perfetta del suo discorso. Per anni se ne è parlato solo come una leggenda, il temutissimo Kraken in grado di affondare navi ed interi equipaggi con le due dimensioni colossali ed i suoi spaventosi tentacoli. Ricercatori, scienziati, esperti, pescatori di passaggio sulla propria barchetta a remi, hanno tentato più volte nel corso dei secoli di portare di fronte al mondo le prove della sua esistenza. Ma il calamaro gigante in fondo è solo una storia, e perché dovremmo credere ad una semplice storia?

“Per secoli pensavamo che non esistesse, in realtà siamo noi che per lui non esistiamo. E questo, insieme alle sue dimensioni prepotenti, è un colpo durissimo al nostro ego.”

Pensiamo di sapere tutto del mare e delle infinite creature che lo popolano, ma il calamaro gigante è la dimostrazione vivente di quanto poco invece ne sappiamo. Per anni, ad esempio, è stato categoricamente escluso dagli esperti che il capodoglio potesse nutrirsi proprio del calamaro gigante, perché non avrebbe avuto la resistenza necessaria per inoltrarsi a mille metri di profondità. Ci abbiamo creduto solo quando ne abbiamo trovato uno morto, affondato laggiù, che ha scambiato un cavo per un succoso tentacolo e ne è rimasto impigliato con la mandibola.

“E il mondo eccolo là, spaventosamente, meravigliosamente sconosciuto, più gigante del calamaro gigante, più colossale del calamaro colossale, smisuratamente più grande di noi.”

Così come ne sappiamo pochissimo, ma su questo si aprirebbe un discorso talmente ampio che l’autore né da solo un piccolo assaggio verso le battute finali, delle isole di plastica che si trovano nel bel mezzo dell’oceano, laddove i rifiuti fanno capolino. La plastica è l’unico materiale al mondo che non può essere distrutto, può essere ridotto in microplastica ma questo non le impedisce comunque di finire in acqua, nello stomaco di tutte le creature che popolano i mari e gli oceani, e di conseguenza anche nel nostro che poi li ingeriamo.

Fabio Genovesi mette sul piatto la realtà dei fatti nuda e cruda, con ironia ma neanche troppo, e si potrebbe anche sorridere di fronte alla sua capacità di affrontare con umorismo argomenti spiacevoli e delicati, ma in conclusione ci lascia comunque un inevitabile senso di amarezza.

“Ognuno di noi ingoia più o meno cinque grammi di plastica a settimana. Come se ogni lunedì mattina ci mangiassimo una carta di credito.”

In queste pagine c’è un continuo susseguirsi di storie, non solo di capodogli e calamari giganti, ma anche storie di vita, come quella tra un ragazzino che osserva la nonna parlare con il marito defunto tutte le sere, e preparargli le patatine fritte per cena. Da piccoli ci crediamo con convinzione alle storie degli adulti, poi cresciamo e le trasformiamo in favole non più adatte a noi, o in sogni irrealizzabili, e così è inevitabile perdersi un po’ della magia di questo incredibile universo, “perché se esiste davvero il calamaro gigante, non c’è più un sogno che sia irrealizzabile, una battaglia inaffrontabile, un amore impossibile.”

E poi: “Dobbiamo ricordarcelo, adesso e sempre. Prima di partire, prima ancora di sapere dove andiamo, dobbiamo sapere dove siamo: noi siamo su una terra dove sono esistiti i dinosauri, e quindi tutto è possibile da queste parti.”L’armonia della natura è dentro ed attorno a noi in ogni momento. Esserne consapevoli è un’occasione di grande felicità, ma dovremmo imparare ad apprezzarla sempre, non solo in retrospettiva o in sua assenza. Questo è il senso più profondo delle sue parole. Una lettura dolce, riflessiva, spiritosa, ma allo stesso tempo anche un grande pugno nello stomaco.

Veronica Saporito

Veronica Saporito: Specializzata in Finanza e Controllo presso una rinomata azienda nel settore della nutrizione sportiva. Appassionata lettrice, dal 2020 scrive di libri su Instagram dove è conosciuta come thatslibridine, e sul suo blog: www.libridine.net, a cui è legata anche una newsletter mensileCollabora con case editrici, uffici stampa, ed ha supportato come media partner il festival letterario comasco Parolario Junior.

Anne Brontë: “Agnes Grey” (Oscar Classici Mondadori, traduzione di Anna Luisa Zazo), di Veronica Saporito

UN’EROINA DELL’EPOCA VITTORIANA POCO NOTA AL GRANDE PUBBLICO:

UNA STORIA DI RISCATTO, FIDUCIA E RESILIENZA.

Tra le sorelle Brontë, Anne, è probabilmente quella meno conosciuta, ma è anche colei che ci ha lasciato in eredità due tesori preziosi come Agnes Grey e La signora di Wildfell Hall, pur non avendo avuto la stessa risonanza di Cime Tempestose della sorella Emily, o di Jane Eyre di Charlotte Brontë.

Tre semplici ragazze vissute nella prima metà dell’800, che hanno avuto una vita tutt’altro che facile: si sono dovute scontrare con la morte prematura della madre e di due sorelle, con un fratello che ha perso il senno in giovane età, con una società in cui alle donne non era ancora concesso dar luce ai loro talenti artistici ma solo essere madri di famiglia e loro, nubili e senza figli, furono continuamente oggetto di pettegolezzi e sguardi accusatori.

Proprio per questo motivo quando decisero di pubblicare i loro romanzi lo fecero sotto falso nome, spacciandosi per i misteriosi fratelli Bell. Fu Charlotte a venire allo scoperto per prima, ed in seguito al grande successo di Jane Eyre fu forse l’unica a godersi un po’ della fama che meritava.

Torniamo quindi ad Anne Brontë: la sua eroina, Agnes Grey, è una giovane ragazza figlia di un pastore e di una donna che ha sacrificato agi e ricchezze per rincorrere la sua felicità. Ed è proprio in un momento di carenza economica che Agnes decide di andare a lavorare come istitutrice per poter offrire il suo supporto alla famiglia in difficoltà.

Ma il mondo può essere un luogo infimo per coloro che hanno un’innata bontà di cuore: entrambe le famiglie presso cui Agnes ha prestato servizio l’hanno accolta tutt’altro che a braccia aperte.

Persone arricchite e senza nessun riguardo nei suoi confronti, con una prole al seguito decisamente indisciplinata ed indomabile. Anni di sacrifici, bocconi amari, solitudine e frustrazione, intervallati da poche settimane di congedo per ritornare tra i propri affetti e godere di piccoli momenti di pace.

Le cose iniziano a prendere una piega diversa quando durante il suo impiego presso la famiglia Murray conosce il signor Weston, il coadiutore della parrocchia. Semplicità ed eleganza fanno subito breccia nel cuore di Agnes, che forse per la prima volta sente di aver trovato una persona fidata in un oceano di solitudine e freddezza.

Anche in seguito alla morte del padre, quando Agnes torna a casa per stare vicina ai suoi cari, i pochi ma saldi legami creati durante la sua permanenza ad Horton Lodge torneranno a darle un pò di conforto. Anche quelli inaspettati come Rosaline, la primogenita civettuola della famiglia Murray, che nonostante frivolezze e scelte di vita sbagliate, si rende conto di aver trovato nella sua istitutrice forse l’unica amica fidata.

“I legami che ci uniscono alla vita sono più tenaci di quanto lei non immagini; nessuno lo immagina, a meno di non aver provato fino a che punto si possan tendere senza spezzarsi.”

Agnes porta con sé insicurezze e fragilità, dolce e sottomessa, riflessiva e taciturna, agli antipodi rispetto a Jane Eyre, invece ribelle, testarda, controcorrente. Due personaggi in netto contrasto ma che riflettono la personalità delle donne da cui sono state immaginate e create.

Anne si rivolge con semplicità ed eleganza al suo pubblico, spesso si scusa quando si lascia andare a riflessioni personali pensando di annoiarlo, ed è proprio la sua umiltà, unita al carattere confidenziale con cui viene raccontata la storia, che ha conquistato negli anni il cuore dei suoi lettori.

“Ebbene, che cosa c’è di notevole in tutto questo? Perché l’ho raccontato? Perché era tanto

importante da farmi passare una serata lieta, una notte di sogni gradevoli e una mattina di felici

speranze. Vuota letizia, sciocchi sogni, speranze infondate, diranno i lettori.”

Veronica Saporito

Veronica Saporito: Specializzata in Finanza e Controllo presso una rinomata azienda nel settore della nutrizione sportiva. Appassionata lettrice, dal 2020 scrive di libri su Instagram dove è conosciuta come thatslibridine, e sul suo blog: www.libridine.net, a cui è legata anche una newsletter mensileCollabora con case editrici, uffici stampa, ed ha supportato come media partner il festival letterario comasco Parolario Junior.