Intervista a Antonino Monteleone per “Erba” (Piemme), di Cristina Marra

Due vittime di un presunto clamoroso errore giudiziario, così Antonino Monteleone e Francesco Priano autori di “Erba” (Piemme) considerano Rosa Bazzi e Olindo Romano,  da diciassette anni in carcere per scontare l’ergastolo per il quadruplice omicidio successo a Erba  l’11 dicembre del 2006. Una strage in cui perdono la vita tre adulti e un bambino e che in tre gradi di  giudizio condanna come unici responsabili i coniugi Romano. Dal 2018  Antonino Monteleone , giornalista e inviato della trasmissione televisiva Le iene insieme all’autore Francesco Priano, si occupa del caso  con un lavoro di giornalismo investigativo che fa emergere la disinformazione dei media sulla vicenda, le incongruenze, le omissioni e le falle processuali. 

Con “Erba” Monteleone e Priano  affidano a un libro la storia di una vicenda che presenta numerosi dubbi e sulla base di prove e ricostruzioni nuove e inedite aprono scenari e ipotesi di una verità differente. A pochi giorni dalla decisione della Corte d’Appello di Brescia di accogliere la richiesta di revisione del processo, Antonino Monteleone ospite della rassegna Scrusciu di Patti dedicata ai misteri d’Italia,  risponde alle mie domande per la nostra rivista e da Iena doc si definisce un vero giornalista randagio.

Il giornalismo delle Iene è randagio, nel senso che è libero e in continuo cammino. Ti ritrovi in questa definizione?

Sì e aggiungerei che è un giornalismo in continuo cammino perché è impossibile stare fermi, non è consentito raccontare storie senza avere messo i piedi sul campo.

Quanto ti sei emozionato con Francesco a mettere nero su bianco la storia di Erba? E quando avete capito che fosse giunto il momento di scriverla?

E’ stato molto emozionante scrivere il libro perché la scorsa primavera abbiamo capito che si era rotto un argine, anzi in realtà si era sfondato un muro, quello dell’ignoranza su fatti clamorosi che sono stati raccontati non in numero sufficiente da contrastare le bugie che sono state dette su questa storia. Questa è stata l’esigenza che ci ha spinto  a scrivere il libro, per riassumere tutti questi fatti. Il problema vero è che in questa storia  per scrivere  una bugia basta un rigo e per smontare queste bugie è stato necessario un libro. Le bugie si scrivono con poche parole, sono formulate in modo efficace  e nessuno perde tempo a verificarne la consistenza, invece per smontarle, per ogni parola scritta in una bugia ne servono cinquanta per spiegare come stanno realmente le cose.

A due mesi  dall’uscita del libro  arriva la decisione della revisione del processo. Che hai provato e cosa ti aspetti?

Mi occupo del caso dal 2018 alle Iene, conosco i dubbi che riguardano la vicenda dal 2010/11 perché me ne parla felice Manti ed è stata una grande emozione… la decisione della corte di appello di Brescia arriva al culmine di un lavoro durato più di cinque anni ed è un risultato quasi insperato per me e per la difesa che ha atteso a lungo, e mi aspetto che la corte d’appello di Brescia messa di fronte alle contraddizioni enormi  contenute nelle tre prove che hanno condannato i Romano riconosca che, di fronte a questa montagna di dubbi, non si possa pronunciare una sentenza di condanna. 

Dal primo servizio in trasmissione del 2018 a oggi, com’è cambiato l’approccio del pubblico nei confronti di Rosa e Olindo? Il libro è un ulteriore strumento per una nuova verità possibile?

L’approccio del pubblico  è cambiato in maniera progressiva. Se penso alla prima edizione in cui abbiamo parlato di Erba sono stati necessari i primi cinque servizi perché ci fosse un cambio nell’umore del pubblico che, di volta in volta, è stato messo di fronte a dei fatti che erano inediti per la gran parte dei telespettatori. Il libro è lo strumento che serve tutte le volte in cui il lettore (o lo spettatore) entra nel loop e si dice “ va bene mi hanno smontato questa prova ma ce n’è un’altra”, ne smontiamo un’altra e si va avanti ancora. Ecco il libro serve a non far perdere tensione, a non far perdere curiosità al lettore e a dargli la risposta che si aspetta nel momento in cui se l’aspetta. 

Erba riporta la verità processuale. Sui tre pilastri che reggono la tesi dell’accusa sono invece tante le contraddizioni. Il lettore diventa anche un po’ giornalista ?

Il lettore non diventa giornalista ma scopre tutte le cose che non tornano. Tutte le volte in cui abbiamo trattato singolarmente gli elementi che hanno portato alla condanna di Rosa e Olindo qualcuno dice sempre che parliamo di una cosa e non di un’altra. Il libro serve a mettere tutte queste cose in fila. E’ un manuale per colpevolisti.

Un libro ricorre anche in questa storia ed è la Bibbia che Olindo riceve in carcere e sulla quale annota pensieri e considerazioni. Che ruolo ha questo libro?

Su quella Bibbia c’è scritto tutto e il contrario di tutto, ci sono le scritte di marca colpevolista e quelle con le quali Olindo si proclama innocente. Allora io dico, prendiamo tutto e se prendiamo tutto alla fine le cose si equivalgono. E’ stano però che in questa storia rientri pure un libro scritto da Joseph Ratzinger  prima di diventare Papa, un libro che Olindo aveva in carcere e all’interno del quale annotava cose che sono proclamazioni di innocenza… eppure di quel libro si parla molto poco. 

Con la revisione del processo i coniugi Romano da condannati tornano a essere imputati?

Sì esattamente. Tornano a essere imputati come stabilisce il codice di procedura penale articolo 60, per il quale, una volta che viene emesso il decreto con il quale vengono citate le parti nel giudizio di revisione, i condannati tornano ad essere degli imputati.

Con le implicazioni che questo dovrebbe portare con sé anche nel trattamento mediatico. Dal 9 gennaio io sarei più accorto a chiamarli gli assassini, ma capisco che c’è questa foga colpevolista inarrestabile.

Una storia di grande sofferenza per le vittime, i parenti e per i colpevoli. Quanto amore c’è in questa vicenda?

Riparlarne ogni volta apre delle ferite ed è spiacevole, bisogna però fare attenzione a non trasformare il dolore in un ostacolo a una ricerca della verità. In questa vicenda ci sono amori spezzati e amori logorati. E’ questo il quadro devastante di quel crimine e perciò mi auguro e spero che quelle che considero due persone innocenti che stanno scontando l’ergastolo vengano riconosciute come tali. 

Cristina Marra

Intervista a Pino Imperatore di Cristina Marra

Con “Tutti matti per gli Esposito” (Salani) la fortunata saga di Pino Imperatore giunge al terzo romanzo. Dopo il successo della trasposizione teatrale e cinematografica, la famiglia più famosa del rione Sanità è stata protagonista della rassegna Ponti-Bruchen nella sua tappa napoletana. Promossa dall’ambasciata tedesca e curata da Vins Gallico, sceglie Pino Imperatore come scrittore espressione della narrazione partenopea e lo abbina alla altrettanto nota Brigitte Glaser autrice della serialità con protagonista la cuoca Katrina. In “Tutti matti per gli Esposito, la famiglia capeggiata da Tonino, impacciato e pasticcione erede del boss del rione Sanità, si ritrova a fronteggiare le restrizioni della Pandemia.

Vins Gallico, Brigitte Glaser, Cristina Marra e Pino Imperatore (ph. Ciro Orlandini)

Nel panorama letterario italiano io ti considero un unicum per la particolarità con cui infarcisci le storie di umorismo. Il tuo è un realismo comico. Quanto ti senti uno scrittore randagio?

«Su una scala da uno a cento, dico ottanta. Il venti per cento è costituito dall’umorismo: una costante alla quale non rinuncio mai. Per il resto, mi muovo in libertà in tutti gli spazi in cui la mia creatività può correre a briglia sciolta. Amo esplorare territori nuovi, scoprire piste narrative inedite, sperimentare, amalgamare i generi. Alla letteratura stanziale preferisco quella raminga. Se restassi fermo nello stesso posto, morirei di monotonia. Sono un nomade della scrittura».

 Con la serie degli Esposito ridicolizzi la camorra e la racconti dal basso. È un modo per indebolirla?

«Per indebolirla e per far capire quanto sia già intrinsecamente malata. Dietro la propria facciata cruenta, la criminalità nasconde un modello sociale e comportamentale dominato dall’ignoranza, dalla volgarità e dalla grettezza. Con un camorrista-tipo puoi al massimo discutere di musica neomelodica, del risultato di una partita di calcio o dell’ultimo video cafone apparso su TikTok. Appena esci fuori da questo recinto cognitivo e magari gli chiedi un’opinione sul riscaldamento globale, ti guarda col labbro pendulo come se avesse visto un alieno e suda come se si trovasse all’interno di un altoforno».

Il romanzo “Tutti matti per gli Esposito” inizia il 2 gennaio 2020. Come sei riuscito a far ridere anche sul Covid? Com’è cambiata la vita degli Esposito con la pandemia e le restrizioni?

«Ogni tragedia contiene in sé una commedia; l’abilità di un umorista sta nel far emergere la seconda per mostrare le storture della prima. Nel periodo più drammatico dell’emergenza pandemica molti italiani si sono ingegnati a cercare stratagemmi per aggirare le restrizioni. La cronaca di quei giorni ci ha raccontato di persone che pur di uscire di casa hanno portato a spasso animali pseudo domestici: capre, cavalli, conigli, pappagalli, maiali. Tonino Esposito, protagonista del mio romanzo, non possedendo un cane, conduce al guinzaglio per il rione Sanità uno degli animali che vivono in cattività nella sua abitazione: un’iguana di grosse dimensioni. E quando viene fermato da un vigile, ingaggia con lui una battaglia dialettica che lo porta alla vittoria per sfiancamento».

Il cimitero delle Fontanelle è un luogo caro a Tonino. Perché ci va spesso? Che rapporto ha con la morte?

«Tonino utilizza un teschio del cimitero, quello del Capitano, come medium tra sé stesso e il mondo dei morti. Intrattiene con questa capuzzella fitti dialoghi che immancabilmente si concludono con la dura condanna, da parte del Capitano, della criminalità. La voce del teschio è allo stesso tempo immateriale e vera; è una voce di coscienza fatta di moniti, rimproveri, esortazioni; è la voce della legalità».

Tonino è un antieroe?

«Sì, perché non ha alcuna caratteristica dell’eroe archetipico: non ha coraggio né fortuna, non è bello, non è schierato dalla parte del Bene e ha una condotta morale equivoca. Perfino gli sforzi che compie per affermarsi nel mondo criminale, e che potrebbero farlo diventare un eroe in negativo, vanno inesorabilmente a picco».

Gli Esposito sono criminali mancati e i Vitiello, la famiglia dell’altra tua serialità sono detective mancati. In cosa si somigliano?

«I loro tratti comuni sono il brio, la vivacità, lo spasso. Sono comici, burloni, buffi. Per i loro comportamenti e il loro lessico fanno scattare in automatico la risata. Incarnano con spontaneità quello spirito di sopravvivenza che nel corso della storia ha aiutato il popolo partenopeo a risorgere da immani sciagure».

I tuoi romanzi sono pieni di coprotagonisti. È più difficile ma anche più divertente raccontare tante vite?

«La costruzione e la gestione dei personaggi è un’operazione letteraria assai delicata, soprattutto quando il numero dei protagonisti è elevato. Per raggiungere il giusto equilibrio tra i soggetti in azione bisogna lavorare sodo. Ma avere tanti coprotagonisti ha i suoi vantaggi: dà la possibilità di esplorare diversi punti di vista e di creare intrecci attraenti; arricchisce la narrazione, offrendo ai lettori una visione più ampia della trama; fa nascere colpi di scena inaspettati e interazioni interessanti. Se ben sfruttate, queste opportunità producono risultati straordinari».

Crimini, risate ma anche tanta cucina nei tuoi romanzi?

«Nelle mie storie la cucina è un riflesso della cultura e dell’ambiente in cui si dipana la trama, ma anche una metafora: in “Aglio, olio e assassino” i corpi delle vittime vengono “conditi” con sostanze alimentari che rimandano a significati nascosti. Napoli vanta una considerevole tradizione enogastronomica ed è un luogo in cui tante interazioni sociali avvengono intorno al cibo; è stato dunque inevitabile (e piacevole) per me operare in questo contesto. Mi auguro, da cittadino, che questo patrimonio si conservi intatto e riesca a resistere al “mordi e fuggi” del turismo di massa».

Romanzi, spettacolo teatrale e film al cinema: cosa riserverà ancora la serie degli Esposito?

«Forse una serie televisiva, chissà. Gli Esposito possono essere raccontati in tanti modi. Sono un caleidoscopio mutevole, un microcosmo sociale in continua evoluzione. Continueranno a raccontarsi all’infinito».

Cristina Marra