Josè Vicente Quirante Rives: “Dodici araldi grinzosi” (Colonnese), di Daniela Marra

Da dove potrà venire a noi la rinascita, 

a noi che abbiamo svuotato e imbrattato tutto il globo terrestre?

 Solo dal passato, se l’amiamo

 ( Simone Weil ) 

Dodici Araldi Grinzosi, prezioso libriccino nato in casa Colonnese, è uno straordinario gioco di rispecchiamenti,  specchi che suggeriscono, svelano, illuminano un cammino tra terra e cielo. L’autore, Josè Vicente Quirante Rives, si confronta con i dodici profeti di Ribera, che rivivono in altrettanti racconti brevi ma sorprendenti, dedicati alla memoria di Giuseppe Galasso. Hanno il sapore delle rivelazioni epifaniche di Joyce e delle invasioni improvvise di proustiana memoria. Sullo sfondo della sorprendente Certosa di San Martino, l’appassionato scrittore spagnolo, ispirato dalle figure dei dipinti di Ribera, costruisce un racconto dialogico, ripercorrendo suggestioni e impressioni, tra immagini, Sacre Scritture, note di viaggiatori e voci di studiosi, nel tentativo di trovare le chiavi per penetrare la nuova Gerusalemme dell’Apocalisse. Ogni capitolo nasce da un innamoramento: le voci del passato, il silenzio, la contemplazione, la luce, le visioni, la Parola, nulla è casuale. Il dialogo tra Bellezza e Morale è vivo e autentico, una potente fonte di riflessione per la comprensione del mondo, un mondo solo da amare. Non è estetismo, non è moralismo, ma un sentimento più alto che agisce sull’uomo. È vicino al sentire di La Capria che riguardo alla funzione salvifica della Bellezza di Dostoevskij scrive: “non parlava certo di estetismo…ma si riferiva a un sentimento che aveva intuito in anticipo il rapporto da restaurare tra Bellezza e morale, cioè tra la Bellezza e la difesa della profanata sacralità del mondo”. 

I profeti della Certosa, mediatori luminosi tra cielo e terra, posti negli archi esterni delle cappelle laterali sono dodici, come dodici gli apostoli, perché i numeri contengono il segreto del mondo. Dodici vecchi dalle rughe profonde, così vivi da sembrare reali, che portano la firma di Jusepe de Ribera español, eseguiti tra il 1638 e il 1643. Il pittore nella feroce Napoli del ‘600, detto Spagnoletto a causa della sua statura e della provenienza, godeva di una grande fama nel vice-regno spagnolo, fama che nel tempo è stata croce e delizia. Artista discusso, attorno alla sua figura sono fiorite leggende e nati  miseri pregiudizi: assassino avvelenatore, feroce, istintivo, Gautier lo giudicava inebriato dal vino dei supplizi  e  Byron  lo definiva il pittore che nutriva la sua tavolozza con il sangue dei santi. È certamente solo superando il pregiudizio e contemplando le sue opere si può comprendere quanto il disegno napoletano deve alla grandiosa mano del Ribera, ma non solo quello napoletano, come racconta Josè Vicente Quirante Rives: “A ventinove anni, Fragonard si esercitava con i profeti della Certosa per scoprirsi”. 

Nella Certosa, che domina la città, “metonimia di Chartreuse, il deserto vicino a Grenoble”, luogo di silenzio e contemplazione, luogo dello spirito, specchio del deserto, si è lontani dalla città sirena in continuo fermento, inzuppata di vanità terrene e miserie mondane: “ Salgo alla Certosa per la Pedamentina di San Martino, le rampe panoramiche che collegano il centro chiassoso e l’amena collina. Le due Napoli, la carnale e la spirituale, la rumorosa e la silente, la licenziosa e la virtuosa, l’attiva e la contemplativa, la visibile e l’invisibile. Salgo alla Certosa per i gradini che uniscono l’uomo e Dio, come la scala di Giacobbe, come la Scala Paradisi, come i profeti”.

Un impasto magico tra autobiografia e immaginazione cesella la narrazione. Le suggestioni visive e l’estasi dello sguardo rapito dell’autore di fronte alla potenza dell’architettura della Certosa, dei marmi policromi, delle tele dipinte, si rispecchiano in una polifonia di voci, quella dell’uomo di origine ebraica che ha vissuto l’orrore ed entra in chiesa nel 1961,  quella del certosino che dopo un lungo viaggio si spoglia della lordura del mondo per addormentarsi ascoltando il golfo nel 1650.  E poi il risveglio che è rinascita, silenzio, abbandono alla solennità della luce e all’armonia, è inno alla sacralità della vita.  E il tempo è il filo che unisce tutto, è un tempo universale, quello che i greci chiamavano Aion, e sembra quasi che non abbia alcun inizio e alcuna fine, come una ruota incessante mossa dalla contemplazione del passato. Perché solo dal passato può venire a noi la rinascita e solo se l’amiamo.

Scheda libro

Dodici agili capitoli, dodici pezzi narrativi cesellati dalla penna di un colto e appassionato scrittore spagnolo, in un dialogo serrato, intimo e vivace, tra la Storia e lo Spirito, all’ombra della stupenda Certosa di San Martino di Napoli. Con viva curiosità intellettuale, Quirante indaga i tratti grinzosi dei profeti dipinti da Jusepe de Ribera, ripercorrendo impressioni di viaggiatori e di studiosi, ritrovando la fatica di vivere nel (seppur trasfigurato) realismo secentesco, ma soprattutto cercando di indovinare – in alcune figure di questi “mediatori” sospesi tra la terra e il cielo, tra Dio e l’uomo – una chiave di lettura nella nuova Gerusalemme dell’Apocalisse.

José Vicente Quirante Rives (Cox, Spagna, 1971), avvocato e scrittore, una laurea in filosofia, è stato direttore dell’Istituto Cervantes di Napoli. Ha pubblicato numerosi saggi dedicati alla Napoli spagnola e ha fondato in Spagna la casa editrice Partenope, che ha inaugurato il proprio catalogo con Il resto di niente di Enzo Striano. Dal 2020 è cittadino onorario di Napoli. Nello stesso anno, Colonnese ha pubblicato in Italia il suo romanzo Ombra e Rivoluzione. Variazioni sul Naturalista Domenica Cirillo.

PRESENTAZIONE

La Casa Editrice Colonnese in collaborazione con la Direzione regionale Musei Campania presenta, martedì 7 maggio 2024 alle ore 17.00, nella suggestiva cornice del Refettorio della Certosa di San Martino di Napoli, Dodici araldi grinzosi di José Vicente Quirante Rives, racconto edito nella storica ed elegante collana “Lo Specchio di Silvia”.

Daniela Marra