Notre vrai moi n’est pas tout entrier en nous
( Jean-Jacques Rousseau )
Questo sangue masticato è il libro con cui esordisce nella collana Greenwich di Nutrimenti Francesco Aloia, giovanissima voce letteraria, originario di Marano, provincia napoletana, in cui ambienta il suo romanzo.
Francesco presto va via dalla sua terra e se ne va perché non è il suo futuro rimanere. Ma è di questa terra che racconta, del legame profondo che agita le viscere, delle radici, del sangue inquieto che non ha chiesto, ma che gli appartiene e si trasmette di generazione in generazione, segnando irrimediabilmente i destini di una famiglia. E il sangue si mastica ma non si sputa, come recita un proverbio, anche a costo di morirne. È arrogante, imperioso e non ammette consolazione.

La voce di Francesco è una voce potente, una sirena come quella di Lello che può strappare il silenzio o unirsi alla festa, ma in ogni caso non passa indisturbata. Lo scrittore fa i conti con l’estraneità, con una generazione che non gli appartiene, vissuta con smarrimento intermittente. I racconti che si rincorrono alla tavola degli Orlando, da dove emerge la titanica figura del nonno, che non ha mai conosciuto, lo connettono ad un passato lontano, disperato e spaventoso. Ed è con Tanino ‘e Bastimento, all’anagrafe Carlo Gaetano Orlando, che il giovane si confronta, cercando di tracciare un autentico perimetro per questo sangue che gli appartiene. Il nonno è una figura straripante intorno alla quale vortica la vita delle generazioni del prima e del dopo. Figlio di Angelo Orlando, sindaco di Marano, Tanino ha trascorso gran parte della sua vita tra una condanna e un’altra, tra carcere e libertà. Considerato dalla cronaca del tempo come sicario di Pascalone ‘e Nola, famoso capo camorra, scontò la doppia pena tra l’angoscia delle sbarre e l’ irriconoscenza del delitto d’onore. Perché lui gli ordini non li prendeva da nessuno e non voleva essere chiamato sicario. È possibile che nel sangue si possa essere cristallizzato quello sparo? Un sangue poi passato di generazione in generazione fino ad oggi e con cui prima o poi bisogna fare i conti? L’autentica voce fresca, spudorata e limpida di Francesco Aloia forse nasce proprio dall’esigenza catartica di confrontarsi con questo passato e nutrendosi del racconto collettivo ne restituisce una visione personale. In lui vive la decisa volontà di ricucire i brandelli di un ritratto che è un’immagine altra in cui specchiarsi. Nessuna colpa, nessuna condanna o assoluzione per Tanino, solo l’imprescindibile necessità di trovarsi faccia a faccia con lui, fino alla fine. Non è un caso che l’ultima parte del libro si intitoli Ultimo duello.
“Se tra le piaghe del tempo ci fosse un nodo anomalo, un punto in cui i tempi confluiscono e il presente fosse l’unica grandezza possibile, il nostro incontro sarebbe realizzabile. So che non esiste niente del genere, si parla poco più che di fantascienza, ma forse c’è un altro modo. Mettiamo caso che…”

Tanino, ma credo ancora più il sangue che ha in corpo, è maledetto, ed è colpa dell’unica forza che governa il mondo per gli Orlando, il fato, il destino, la Provvidenza, la sola a cui si deve obbedire, la sola che non si può contraddire. Nessun eroismo per il nonno, se non quello di essere un eroe tragico trapassato dal dolore e dal fato, nessuna soddisfazione nella descrizione di una periferia criminale tra miserie e peccati, nessuna condanna da parte dell’autore. L’impianto narrativo ne risulta autentico, anche se il punto di partenza è una ricostruzione immaginativa. Del resto lo stesso Aiola mette le “mani avanti” nella piccola prefazione, e quindi Amen: ‘a verità vera nun esiste. Attenzione, però, questo non significa affatto che l’autore sia portatore insano di menzogna, o peggio che non risulti credibile al lettore. Al contrario Aiola si distingue per una voce autentica e consapevole. Non cerca a tutti i costi l’approvazione del lettore o il turbamento, si mette in gioco fino alle ultime pagine senza vanità. Racconta e si racconta senza filtri, senza fronzoli e spettacolarizzazioni. Senza l’ipocrisia per uscirne “pulito” restituisce l’immagine di una terra vera, inquieta, e di una costellazione familiare, dove ogni persona sembra essere un Arcano Maggiore dei tarocchi, le carte che hanno scritto dentro il destino: Raffaele, il prode; Elena, la solitaria; Valencia, la spatriata; Enza, il bastone e così via. Ogni carta è insostituibile e intimamente necessaria. E il gioco vorticoso dei racconti, degli incontri, delle belle giornate e delle questioni insostenibili, si svolge in un luogo-persona. La tavola della terra, dove la famiglia si riunisce da generazioni guardandosi in faccia e riconoscendo quel sangue masticato. È luogo proustiano di attraversamento del tempo, di smistamento di destini, di intrecci di visoni sul mondo e sulle cose tristi, banali, miserabili. I confini si fanno labili, ed è come trovarsi in una specie di limbo, alla tavola tra i morti e i vivi, su una terra dove le cose non cambiano e come scrive l’autore forse non c’è bisogno che cambino, perché c’è qualcosa di caldo nella lentezza di questa città, che non va mai avanti e si deteriora soltanto, come le persone che la abitano e che ritrovo volta dopo volta, uguali ma un po’ più stanche, come se nessuno dormisse da settimane, come se qui l’aria fosse più densa, più difficile da buttare nei polmoni e risputare fuori.
Scheda Nutrimenti
O sang se mazzeca ma nun se sputa, il sangue si mastica ma non si sputa. Nel suo romanzo d’esordio Francesco Aloia fa i conti con il passato e la famiglia, tenendo bene a mente l’insegnamento di sua nonna Ada. Dopo essere volato altrove e aver trovato la sua strada, lungo un’estate nei luoghi della sua infanzia fa i conti in particolare con un nonno “ingombrante”, Tanino ’e Bastimento, uomo d’onore che, dopo un paio di omicidi e molti anni di galera, dopo aver sfidato un boss di camorra, ora deve affrontare “in assenza” un ultimo duello, quello con suo nipote. Una storia intensa e complessa che, senza scorciatoie e banalizzazioni, disegna il ritratto di un mondo e di una cultura di relazioni umane, attraverso una lingua esatta e mai banale.
Tanino ’e Bastimento, all’anagrafe Carlo Gaetano Orlando, è nato nel 1930 a Napoli, ma è vissuto per lo più a Marano, paese della provincia napoletana sconosciuto ai più fatta eccezione per il pane e per la chiesa di San Castrese.
Figlio di Angelo Orlando, sindaco di Marano e meglio noto come il Mastrone, e di Elena Insegna, ’a Valencia, Tanino ha passato buona parte dei suoi sessantotto anni di vita tra il carcere di Poggioreale e i più disparati penitenziari d’Italia: da Forte Longone a Viterbo, da Benevento a Valdastico. Negli anni di libertà, tra una condanna e l’altra, è stato anche un marito devoto alla sua Ada, padre di sette figli, nonno di svariati nipoti e, soprattutto, non ha mai smesso di essere fedele al suo credo: «Di ordini ne prendeva solo dal destino e da nessun altro».
Ed è il destino a decidere sempre per lui. Fin dalla traiettoria deviata di un proiettile nel 1949, e di un altro ancora nel 1955.
Francesco Aloia è uno dei nipoti di Tanino e suo nonno non l’ha mai conosciuto. A più di vent’anni dalla morte di ’e Bastimento, ha sentito però la necessità di ricostruirne la vicenda con lucidità e precisione, inserendola nella più complessa e intricata storia di famiglia e in quella di un paese, Marano, che non ha mai dimenticato.

Daniela Marra

