Intervista a Antonio Talia autore di  La stagione delle spie – Indagine sugli agenti russi in Italia (Minimum Fax) di Cristina Marra

Antonio Talia, giornalista e scrittore, si occupa di affari esteri e criminalità transnazionale. Ha trascorso 7 anni a Pechino lavorando come corrispondente per un’agenzia di stampa italiana ed è autore di reportage e di storie sul jihadismo in Indonesia, su Singapore, sulle proteste a Hong Kong e sul riciclaggio di denaro tra Europa e Asia. Nel 2012 è uscito I Giorni del Dragone (Informant), un ebook sulla lotta per il potere all’interno del PCC. Per Minimum Fax ha pubblicato nel 2019 Statale 106. Viaggio sulle strade segrete della ‘ndrangheta; nel 2021, Milano sotto Milano. Viaggio nell’economia sommersa di una metropoli. La sua ultima fatica è La stagione delle spie, un reportage sui casi di spionaggio avvenuti in Italia dal 2016 a oggi. Lavora per Radio24_news (Nessun luogo è lontano).

Dopo la fine della Guerra fredda, il numero di spie russe in Italia è aumentato.  Come spieghi questo fenomeno? Da dove inizia la tua indagine per scrivere il libro?

 L’idea del libro è nata da una conversazione con il prefetto Adriano Soi, docente di intelligence all’Università di Firenze, in cui mi raccontava proprio di questo aumento del numero di agenti russi registrato nella nostra intelligence negli ultimi anni. 

Il caso di Walter Biot, il sottufficiale della Marina militare italiana sorpreso a rivendere informazioni riservate ai russi, quello di Frederico Carvalhão Gil, alto funzionario dei servizi d’informazione portoghesi arrestato a Roma in compagnia di un agente russo al quale stava cedendo documenti Nato, oppure ancora la storia di Maria Adela Kuhfeldt-Rivera, agente infiltrata nella base Nato di Napoli, sono solo alcune delle vicende avvenute in Italia negli ultimi anni. Probabilmente il fenomeno si spiega con una serie di fattori storici (l’Italia è sempre stata una potenza dialogante con la Russia) e contingenti (alcuni recenti governi italiani hanno manifestato una certa simpatia per Putin): per questo ho pensato che andasse indagato e raccontato

Chi sono le spie oggi? Perchè si diventa una spia e si arriva anche a tradire il proprio Paese?

Ci sono gli agenti dei servizi d’intelligence, in Italia sono l’Aise e l’Aisi, coordinati dal DIS: quella è gente che fa il proprio mestiere, che consiste nel reperire informazioni da condensare al Presidente del Consiglio in dossier professionali utili per prendere decisioni politiche. E questa è la fisiologia, la normalità dei servizi di informazione di tutto il mondo democratico; anche se siamo abituati comunemente a chiamare “spia” chi fa questo lavoro, si tratta di gente che viene reclutata attraverso percorsi professionali e ha un addestramento di un certo tipo, ma anche una routine e una quotidianità lontana dai film di genere. Si calcola che in Italia ci siano tra i 4mila e i 5mila agenti. Poi ovviamente esiste il momento patologico, ossia quando un agente decide di passare dall’altra parte, e per quanto si tratti di vicende drammatiche, che sottindendono gravissime crisi personali, dal punto di vista del giornalismo narrativo sono le storie più interessanti da raccontare. Si dice che si tradisce per quattro motivi, che sono riassunti nell’acronimo inglese “MICE” (Topini): “Money” (denaro), “Ideology” (ragioni ideologiche), “Coercion” (si viene ricattati) e “Ego” (il caro vecchio ego). Ovviamente queste quattro lettere possono comprendere quasi tutta la tavolozza delle emozioni umane, e forse è questo che rende le storie di spie ancora più affascinanti. 

Che succede quando si intercetta una talpa?

Fonti del mestiere dicono che possono succedere varie cose. La prima è che la talpa viene individuata, messa davanti alle sue responsabilità e poi “riutilizzata” per fornire informazioni false al nemico; sono quelli che chiamano “agenti tripli”. Oppure si può decidere di mandare un chiaro segnale al Paese avversario, è una decisione che spetta alla Presidenza del Consiglio, e allora si allerta l’Autorità Giudiziaria e si arrestano la talpa e l’agente che la gestiva, il cosiddetto “supervisore”. Ultimamente l’Italia ha scelto questa strada in alcuni casi, proprio per mandare un segnale al Paese avversario, nella fattispecie la Russia. 

Roma è la città preferita dai russi, per quale motivo?

Non so se lo è ancora, ma di sicuro è tra le preferite. Ci sono vari fattori; il primo è che a Roma non c’è una sola sede diplomatica presso la quale accreditarsi, ma ce ne sono addirittura tre: se un agente russo (o di altra nazionalità) vuole nascondersi dietro l’immunità diplomatica può accreditarsi presso la Repubblica Italiana, ovviamente, ma anche al Vaticano o alla sede della FAO. Questo ovviamente moltiplica le possibilità di nascondersi. Poi c’è un fattore che ha a che vedere con lo spionaggio vecchio stile, quello che pensavamo sorpassato dalla tecnologia: Roma abbonda di ristoranti e bar affollati con tavoli all’aperto, darsi appuntamento per scambiarsi velocemente dei documenti è molto più semplice che altrove. 

Nella tua ricerca che metodo hai usato e quanti contatti diretti con ex spie hai avuto?

Ho usato un metodo giornalistico rigoroso, sono andato a caccia di documenti aperti e di documenti riservati e poi ho cercato di costruire un andamento narrativo, capace di tenere desta l’attenzione del lettore intrecciando anche le vicende di spionaggio con l’attualità politica internazionale. I contatti sono stati diversi, ma ovviamente bisogna fare sempre del proprio meglio per evitare di innamorarsi della versione fornita dalle fonti e raccontare tutto al lettore in maniera distaccata. 

Che connessione c’è tra alternanza delle fasi politiche e le dinamiche dell’intelligence? 

Il collegamento è diretto: in un ordinamento democratico l’intelligence obbedisce alla politica, le priorità vengono dettate dalla politica, quindi se in una certa fase politica si teme di più, per dire, la minaccia economica a quella del terrorismo, l’intelligence obbedisce e fornisce più informazioni su quei temi. 

Spionaggio tradizionale e cyber, oggi si usano entrambi?

Con i casi Snowden e Assange sembrava che ormai tutte le questioni di intelligence si svolgessero esclusivamente dietro lo schermo di un computer. Gli ultimi anni ci hanno dimostrato che non è affatto così: le attività cyber sono fondamentali, ma quello che Graham Greene chiamava “Il fattore umano” rimane centrale. È solo “il fattore umano” che spiega che cosa spinga qualcuno a passare al campo avverso; solo “il fattore umano” spiega come sia possibile attirare qualcuno in una trappola della fiducia oppure convincerlo che la propria ideologia è più giusta di quella del Paese in cui si vive. Era questo l’aspetto che mi interessava di più nello scrivere il libro: mettere in luce il fattore umano, capire com’è possibile che certe persone scelgano di trasformarsi in quello a cui avevano sempre dato la caccia. Mi pare un percorso molto affascinante. 

Quali sono le città coinvolte e i casi di cui ti sei occupato?

Roma è al centro di tutto, ma per scrivere il libro ho fatto ricerche e incontrato fonti a Lisbona, Parigi e Napoli, mentre altre fonti le ho raggiunte per via telematica a Washington, Mosca, Cincinnati e Helsinki. Le storie sono cinque storie di agenti russi in Italia e vanno dal 2016 al 2023. Si passa da scambi di documenti Nato a furti di tecnologie militari, ma come abbiamo detto prima ogni storia di spie è anche una storia di politica, e quindi nel raccontarle ci si imbatte anche in molte controversie politiche di questi anni, dai tentativi di influenza di Donald Trump alle politiche di Conte, Draghi e Meloni. 

La copertina del libro richiama alla vecchia Unione Sovietica, perchè questa scelta?

Per tre ragioni: la prima è che il simbolo dell’Unione Sovietica e del vecchio KGB è sempre più riconoscibile rispetto a quelli della Russia attuale. La seconda è che c’è una certa continuità tra quella Russia e la Russia di oggi. La terza è un richiamo ai vecchi romanzi di un maestro come John Le Carré, che adoro. Ma questi non sono romanzi: sono tutte storie vere. 

Cristina Marra

Lasciami andare, quando le orche arrivarono a Genova – Intervista a Claudia Fachinetti di Cristina Marra

Claudia Fachinetti, giornalista e biologa marina è appassionata di natura e animali e a loro dedica romanzi rivolti principalmente a giovani lettori. “Lasciami andare” edito da Il battello a vapore è la storia dell’arrivo di un gruppo di orche nei pressi del porto di Genova a dicembre del 2019. E’ quest’episodio a suggerirle il racconto di un approdo che presto diventerà una nuova partenza, di una famiglia unita e disorientata che nell’amore trova il suo faro, di una ragazza coraggiosa e fragile che sa ascoltare e non si arrende al dolore.  

Claudia, benvenuta su Il Randagio, i tuoi libri partono sempre da storie vere. Dopo il riccio e il gatto stavolta dedichi un romanzo alle Orche. Quando hai incrociato la loro storia? Come ti sei documentata per scriverla?

Sì da giornalista mi piace scrivere partendo da fatti di cronaca e storie vere. La storia delle orche l’ho seguita in diretta perché da ex biologa marina sono ancora in contatto con molti ricercatori che studiano balene e delfini in Mediterraneo quindi ero costantemente aggiornata. In quel periodo stavo scrivendo Vito il gatto bionico e tra questo e la pandemia inizialmente non ho avuto modo di pensare che la vicenda delle orche di Genova potesse diventare un libro. Poi, un anno fa, ho capito che era il momento giusto e ho ricontattato tutti i biologi che in quei giorni hanno lavorato per aiutare e studiare le orche con i quali ho ripercorso passo passo la storia.

Alaska è la 14enne protagonista. Quanto la sua passione per i cetacei la aiuta nella sua formazione alla vita e al dolore?

Secondo me studiare la natura e seguire le sue regole aiuta a vedere con più distacco e onestà anche la vita umana. Spesso tendiamo a metterci al di sopra di tutto ma in fondo siamo anche noi creature animali di questo mondo. In generale poi, occuparsi di qualcun altro aiuta a distogliere l’attenzione dai propri problemi e alleggerirne il peso. 

Lasciare andare significa anche ricominciare?

Esattamente. La vita è fatta di saliscendi, di ostacoli da superare e non accettare un evento che ci genera sofferenza ci impedisce di andare avanti. L’accettazione è la parte più dolorosa e difficile di un lutto, di una difficoltà, ma per andare avanti dobbiamo necessariamente attraversare il dolore e viverlo, solo così si ricomincia a vivere davvero.

Giganteschi, eppure le orche sono anche animali fragili?

Le orche sono i rappresentanti più grandi della famiglia dei delfini, hanno una società e socialità complesse e tecniche di caccia altamente specializzate, non hanno nemici naturali e possiedono una grande intelligenza e adattabilità, eppure la loro vita dipende dall’ambiente in cui vivono. Per cui l’inquinamento e la riduzione delle prede può mettere in pericolo intere popolazioni. In Canada, per esempio, la pesca eccessiva dei salmoni ha messo in crisi la popolazione di orche residente nell’area e che si nutriva di questi pesci.

Il romanzo ha la prefazione della biologa marina Lanfredi. Ti sei ispirata a lei per il personaggio di Caterina?

Assolutamente sì, lei è Caterina anche se la sua parte è romanzata e in quei giorni non si è dedicata realmente alla faccenda delle orche come, al contrario, hanno fatto Sabina Airoldi, Alessandro Verga, Alessandro Violi e Guido Gnone, anche loro protagonisti nel libro e anche nella realtà.

La storia familiare delle orche si intreccia con quella di Alaska. Quanto ci insegna la forza dell’unione familiare delle orche?

Gli animali cosiddetti sociali danno spesso grandi insegnamenti di solidarietà tra membri di un gruppo o di una famiglia. Per sopravvivere l’aiuto e il sostegno reciproco sono fondamentali così come dovrebbe essere anche per noi ma spesso facciamo prevalere l’egoismo e gli interessi personali.

Nel romanzo ci sono anche i sentimenti di amicizia e amore. Diego è un personaggio chiave nella storia di Alaska?

Sì, Diego è un personaggio chiave della storia e aiuta Alaska a mettere a fuoco i suoi obiettivi e a liberare le sue emozioni. Condividono una grande passione per i cetacei e questo inevitabilmente li unisce. Per una ragazza chiusa e in trasformazione come Alaska questo legame è fondamentale per crescere, per assaporare sentimenti mai provati.

Le orche nuotano in un mare a loro sconosciuto. La loro storia le accomuna ai migranti e ci esorta ad accogliere e comprendere?

Mi sembra un paragone corretto. Non deve essere affatto semplice trovarsi lontano dal proprio mondo, in balia delle correnti e in contatto con individui sconosciuti magari con abitudini molto diverse dalle nostre. Lo è stato per le orche e lo è per le persone costrette a fuggire da guerra e povertà con la sola forza della speranza.

La storia è intervallata da schede sulle Orche chi ti ha supportata? 

A parte il box sul catalogo delle pinne per l’identificazione, per gli altri box è stato sufficiente approfondire con articoli scientifici e di cronaca quello che già sapevo. Le orche sono da sempre i miei animali preferiti e ho sempre letto e studiato molto su di loro anche se talvolta scopro cose di questi incredibili animali che ancora mi stupiscono.

Cristina Marra