Con “Tutti matti per gli Esposito” (Salani) la fortunata saga di Pino Imperatore giunge al terzo romanzo. Dopo il successo della trasposizione teatrale e cinematografica, la famiglia più famosa del rione Sanità è stata protagonista della rassegna Ponti-Bruchen nella sua tappa napoletana. Promossa dall’ambasciata tedesca e curata da Vins Gallico, sceglie Pino Imperatore come scrittore espressione della narrazione partenopea e lo abbina alla altrettanto nota Brigitte Glaser autrice della serialità con protagonista la cuoca Katrina. In “Tutti matti per gli Esposito, la famiglia capeggiata da Tonino, impacciato e pasticcione erede del boss del rione Sanità, si ritrova a fronteggiare le restrizioni della Pandemia.

Nel panorama letterario italiano io ti considero un unicum per la particolarità con cui infarcisci le storie di umorismo. Il tuo è un realismo comico. Quanto ti senti uno scrittore randagio?
«Su una scala da uno a cento, dico ottanta. Il venti per cento è costituito dall’umorismo: una costante alla quale non rinuncio mai. Per il resto, mi muovo in libertà in tutti gli spazi in cui la mia creatività può correre a briglia sciolta. Amo esplorare territori nuovi, scoprire piste narrative inedite, sperimentare, amalgamare i generi. Alla letteratura stanziale preferisco quella raminga. Se restassi fermo nello stesso posto, morirei di monotonia. Sono un nomade della scrittura».

Con la serie degli Esposito ridicolizzi la camorra e la racconti dal basso. È un modo per indebolirla?
«Per indebolirla e per far capire quanto sia già intrinsecamente malata. Dietro la propria facciata cruenta, la criminalità nasconde un modello sociale e comportamentale dominato dall’ignoranza, dalla volgarità e dalla grettezza. Con un camorrista-tipo puoi al massimo discutere di musica neomelodica, del risultato di una partita di calcio o dell’ultimo video cafone apparso su TikTok. Appena esci fuori da questo recinto cognitivo e magari gli chiedi un’opinione sul riscaldamento globale, ti guarda col labbro pendulo come se avesse visto un alieno e suda come se si trovasse all’interno di un altoforno».
Il romanzo “Tutti matti per gli Esposito” inizia il 2 gennaio 2020. Come sei riuscito a far ridere anche sul Covid? Com’è cambiata la vita degli Esposito con la pandemia e le restrizioni?
«Ogni tragedia contiene in sé una commedia; l’abilità di un umorista sta nel far emergere la seconda per mostrare le storture della prima. Nel periodo più drammatico dell’emergenza pandemica molti italiani si sono ingegnati a cercare stratagemmi per aggirare le restrizioni. La cronaca di quei giorni ci ha raccontato di persone che pur di uscire di casa hanno portato a spasso animali pseudo domestici: capre, cavalli, conigli, pappagalli, maiali. Tonino Esposito, protagonista del mio romanzo, non possedendo un cane, conduce al guinzaglio per il rione Sanità uno degli animali che vivono in cattività nella sua abitazione: un’iguana di grosse dimensioni. E quando viene fermato da un vigile, ingaggia con lui una battaglia dialettica che lo porta alla vittoria per sfiancamento».
Il cimitero delle Fontanelle è un luogo caro a Tonino. Perché ci va spesso? Che rapporto ha con la morte?

«Tonino utilizza un teschio del cimitero, quello del Capitano, come medium tra sé stesso e il mondo dei morti. Intrattiene con questa capuzzella fitti dialoghi che immancabilmente si concludono con la dura condanna, da parte del Capitano, della criminalità. La voce del teschio è allo stesso tempo immateriale e vera; è una voce di coscienza fatta di moniti, rimproveri, esortazioni; è la voce della legalità».
Tonino è un antieroe?
«Sì, perché non ha alcuna caratteristica dell’eroe archetipico: non ha coraggio né fortuna, non è bello, non è schierato dalla parte del Bene e ha una condotta morale equivoca. Perfino gli sforzi che compie per affermarsi nel mondo criminale, e che potrebbero farlo diventare un eroe in negativo, vanno inesorabilmente a picco».
Gli Esposito sono criminali mancati e i Vitiello, la famiglia dell’altra tua serialità sono detective mancati. In cosa si somigliano?
«I loro tratti comuni sono il brio, la vivacità, lo spasso. Sono comici, burloni, buffi. Per i loro comportamenti e il loro lessico fanno scattare in automatico la risata. Incarnano con spontaneità quello spirito di sopravvivenza che nel corso della storia ha aiutato il popolo partenopeo a risorgere da immani sciagure».
I tuoi romanzi sono pieni di coprotagonisti. È più difficile ma anche più divertente raccontare tante vite?
«La costruzione e la gestione dei personaggi è un’operazione letteraria assai delicata, soprattutto quando il numero dei protagonisti è elevato. Per raggiungere il giusto equilibrio tra i soggetti in azione bisogna lavorare sodo. Ma avere tanti coprotagonisti ha i suoi vantaggi: dà la possibilità di esplorare diversi punti di vista e di creare intrecci attraenti; arricchisce la narrazione, offrendo ai lettori una visione più ampia della trama; fa nascere colpi di scena inaspettati e interazioni interessanti. Se ben sfruttate, queste opportunità producono risultati straordinari».

Crimini, risate ma anche tanta cucina nei tuoi romanzi?
«Nelle mie storie la cucina è un riflesso della cultura e dell’ambiente in cui si dipana la trama, ma anche una metafora: in “Aglio, olio e assassino” i corpi delle vittime vengono “conditi” con sostanze alimentari che rimandano a significati nascosti. Napoli vanta una considerevole tradizione enogastronomica ed è un luogo in cui tante interazioni sociali avvengono intorno al cibo; è stato dunque inevitabile (e piacevole) per me operare in questo contesto. Mi auguro, da cittadino, che questo patrimonio si conservi intatto e riesca a resistere al “mordi e fuggi” del turismo di massa».
Romanzi, spettacolo teatrale e film al cinema: cosa riserverà ancora la serie degli Esposito?
«Forse una serie televisiva, chissà. Gli Esposito possono essere raccontati in tanti modi. Sono un caleidoscopio mutevole, un microcosmo sociale in continua evoluzione. Continueranno a raccontarsi all’infinito».
Cristina Marra

