Ma davvero si può parlare con entusiasmo di un saggio sul “Merluzzo”? Che cosa rende questo libro così attraente?

Innanzitutto Mark Kurlansky, giornalista americano classe ’48, ci dà un’interpretazione bizzarra, ma, a pensarci bene, condivisibile: il merluzzo ha cambiato la Storia del Mondo. Un’esagerazione? Beh, l’autore ne cita tanti di esempi, a partire da quello di Eirik il Rosso e dei Vichinghi, che nel Decimo Secolo, ben prima di Colombo, difficilmente sarebbero arrivati dalla Norvegia in Islanda, per poi spingersi in Groenlandia e nel Nord America, se non avessero “inventato lo stoccafisso”, cioè imparato ad essiccare il merluzzo appendendolo nell’aria gelida invernale. Quel cibo non deperibile, che è poi un concentrato di proteine, avrebbe sfamato i pescatori nelle lunghe traversate atlantiche, generalmente alla ricerca dei banchi di pesce, che i Vichinghi avevano cominciato a commerciare in tutto il Nord Europa.
Anche i successi commerciali nel Medioevo dei Baschi, che si spingevano in mari ancora più lontani a caccia in primis di balene, difficilmente si sarebbero realizzati senza la salatura del merluzzo (ecco a voi il “baccalà”!) che consentiva di portare a bordo adeguate scorte di cibo.
Ma anche gli spagnoli e i portoghesi considereranno il merluzzo strategico, essendo un nutrimento a buon mercato e di alta qualità per gli equipaggi delle navi dirette sempre più di frequente nel Nuovo Mondo a fini commerciali o di scoperta. In Africa Occidentale, gli schiavi venivano scambiati con stoccafisso e baccalà. E, una volta arrivati in America, venivano sostentati con merluzzo salato scadente (il piatto caraibico più diffuso è ancora oggi il baccalà col riso).
E potremmo continuare con gli esempi, che poi sono quelli che troverete nel libro, per capire quanto abbia inciso il merluzzo sulla nostra Storia e su quello che siamo diventati.

Ma il merluzzo, come ci dice Kurlansky, può essere visto anche come l’emblema di una grande crisi nel rapporto tra l’uomo e la natura. Infatti, già alla fine dell’Ottocento, a causa di tecniche di pesca e motori sempre più sofisticati e potenti, cominciavano ad evidenziarsi i primi segni di spopolamento del merluzzo. Ma purtroppo l’abbondanza di pescato non ha comportato fino ai giorni nostri misure per evitarne il depauperamento. Oggi Paesi come l’Islanda e la Norvegia hanno finalmente imposto talune limitazioni per consentirne il ripopolamento, ma è assai probabile che queste misure possano risultare tardive, un po’ come tutte quelle che riguardano l’ambiente. In Canada e negli Stati Uniti – i banchi di Terranova erano tra i più prosperi al mondo – quelli che erano stati importanti porti di pesca sono diventate città fantasma a conferma dell’esaurimento del merluzzo.
Ma nel libro troverete anche – e questa potremmo considerarla una contraddizione con le istanze ambientaliste dell’Autore – seicento anni di più o meno gustose, ma senz’altro economiche e fantasiose ricette a base di merluzzo, carne bianca, delicata e friabile. A partire da quella del 1375 di Taillevent Le Viandier che lo cucinava con senape e burro fuso. Oppure il baccalà norvegese ammorbidito nella liscivia o la ricetta britannica d’inizio ottocento della testa di merluzzo arrosto con un po’ di sale e di noce moscata, qualche chiodo di garofano e del fegato pestato con burro e due rossi d’uovo. O ancora potrebbe venirvi voglia di provare le fette di fegato impanate con le uova di merluzzo fritte descritte da Joyce nell’Ulisse come colazione di Leopold Bloom che, come si sa, mangiava con gusto le interiora delle bestie e degli uccelli.
Inoltre, il libro è una lettura piacevolissima perché fornisce digressioni intriganti su argomenti che incuriosiranno il lettore, come il contrasto nel Cinquecento tra l’Inghilterra e i tedeschi della Lega Anseatica per i diritti sul merluzzo islandese; o gli accordi internazionali per accaparrarsi il sale e la definizione delle tasse sul sale stesso, le gabelle, particolarmente invise al popolo da portare alla Rivoluzione francese. Oppure i traffici che partivano dal New England per arrivare a Bilbao dove si vendeva il pesce migliore; poi le navi ripartivano per le Indie occidentali dove si vendeva quello scadente per comprare zucchero, tabacco, cotone da riportare a Boston e in Occidente. Per arrivare fino a quella che la stampa britannica definì “la guerra del merluzzo”, combattuta per fortuna senza spargimenti di sangue tra Islanda e Inghilterra tra il 1958 e il 1976 per l’accesso privilegiato alle zone di pesca.

Infine, Merluzzo è un libro che vi farà viaggiare (Paesi Baschi, Bretagna, Scandinavia, Isole Faroe, Islanda, Groenlandia, Labrador, Terranova, Nuova Scozia, ecc…), un racconto di esplorazioni (Vichinghi, Colombo, Caboto…), di barche (a due, a tre alberi con timone a barra, i vascelli, gli schooner, le dories, i pescherecci a motore), di tecniche di pesca (il palamito, lo strascico da fondale, i sonar) e di lavorazione del pescato (a bordo, congelazione).
Il libro di Mark Kurlansky è, allo stesso tempo, affascinante e preoccupante. Nessuno avrebbe immaginato fino a qualche decennio fa che il pesce più abbondante, resistente e prolifico sarebbe potuto un giorno scomparire dai nostri mari. Eppure sembra che questo sia il destino del merluzzo, colpevole soltanto di piacerci troppo e di avere tra i suoi predatori l’uomo. Non ci resta che sperare che il buon senso dei governi, ma anche di tutti noi consumatori, coniugato con la scienza, salvi il merluzzo se non altro per salvare noi stessi. E questo libro è l’ennesimo monito, purtroppo finora inascoltato, a riconsiderare con urgenza i comportamenti sconsiderati e irresponsabili della razza umana nei confronti della natura.
Gigi Agnano

