William Blake: guardiano delle porte della percezione di Lucia Matano

Prima di ogni altra cosa, per comprendere bene la complessa figura di William Blake del suo “Creato” linguistico, simbolico, filosofico e artistico tutto personale, bisogna delineare il contesto storico e culturale in cui visse.

Nato nel 1757 a Londra, da famiglia borghese, si trovò a vivere in un periodo di profonde rivoluzioni di tale forza rinnovatrice da cambiare gli assetti politici e sociali di un mondo che da allora in poi non sarebbe più stato lo stesso. Nel 1760 scoppiò la Prima Rivoluzione Industriale Inglese che determinò uno stravolgimento della concezione di un sistema che nasce come agricolo e commerciale per diventare industriale e imprenditoriale con l’unico scopo del profitto. Nel 1775 ha luogo la cosiddetta Rivoluzione Americana che portò le tredici colonie nordamericane all’indipendenza dalla Gran Bretagna e al riconoscimento degli Stati Uniti d’America. Altro grande evento fu la Rivoluzione Francese, esplosa in tutta la sua violenza nel luglio del 1789, che riuscì a cambiare non solo la storia politica e sociale francese, ma quella di tutta l’Europa. I nuovi assetti politici, economici e sociali dovuti ai suddetti avvenimenti posero la società inglese (nonché tutta la società europea) di fronte a nuove concezioni del vivere e del pensare. Termini moderni rispecchiano l’epoca ormai rinnovata: il Capitalismo che faceva guardare con occhi diversi il mondo dell’industria con i suoi oneri produttivi, insieme a politiche più democratiche e meno rigide, rinnovarono anche la posizione dell’Uomo; affrancato da vincoli quali la famiglia, la Chiesa, la morale o altre forme di collettività, adesso è completamente responsabile davanti a una vasta gamma di scelte che si allontanano dalla “tradizione”. Nasce l’Individualismo come atteggiamento comune a un’intera società, a differenza dei secoli precedenti in cui era peculiarità di qualche mente isolata e, spesso, sinonimo di egocentrismo.

È qui che si innesta la figura di William Blake: poeta, pittore, incisore e visionario. Innanzitutto è un visionario perché già all’età di otto anni ebbe la prima visione angelica che, riferita ai genitori, gli costò più di una sberla. Questo episodio gli lasciò l’amaro in bocca per molti anni, ma non riuscì ad arginare il fenomeno che lo accompagnò per il resto della sua vita. Oltre agli altri personaggi che si presentarono davanti ai suoi occhi, egli affermò di vedere periodicamente suo fratello minore, morto in giovane età. Altro motivo per cui possiamo affermare che è un visionario è la sua capacità di capire gli eventi storici e di intuirne, più che l’epilogo, le conseguenze. Il concetto di Visione, inteso come dono divino, è uno dei punti fermi dell’opera blackiana, è la stella polare a cui fa riferimento la sua stessa arte. È un dono a cui tutti gli uomini possono accedere appellandosi alla facoltà visiva a cui si può giungere solo se si vuole guardare con gli occhi della mente. La Visione blackiana non ha niente di sovrannaturale, fa parte delle potenzialità immaginative a disposizione di tutti gli uomini che, se correttamente coltivate, portano a una naturale resa artistica. Ciò che poi, da Visionario, lo innalza a Profeta è che tali intuizioni non restano fini a se stesse, esse si trasformano in moniti, in lezioni del vivere bene e in pace con la propria interiorità e con i propri simili nel mondo.

Blake analizza la storia, la società, la religione, il mondo ecclesiastico: insomma il reale, filtrandolo  attraverso la sua infinita capacità immaginativa che riesce a dare un volto, un carattere costruttivo o distruttivo ad ogni istanza che prende vita nei suoi scritti e, spesso, anche nelle sue incisioni. Imprescindibile è la sua critica al mondo Illuminista che si sviluppava e si diffonde proprio negli anni della sua giovinezza, grazie a figure come Locke, Bacone e Newton che Blake vide come acerrimi nemici dell’umanità e che contestò aspramente. Fu un antieroe del suo tempo e non potava essere altrimenti, ma col passare degli anni la sua voce non restò isolata, anzi, fu la base per un movimento che rivalutò tutto il pensiero Illuminista, prendendo in considerazione tutte le varianti che l’Illuminismo aveva escluso, per dare loro nuova linfa vitale: il Romanticismo. Blake non si preoccupa di conoscere le origini dell’universo, l’essenza di Dio o la natura dell’uomo; la sua volontà, divinamente ispirata, è quella di «salvare l’io intrappolato nei meandri del labirinto fenomenico».

Pensando a quanto sia stato amato, soprattutto dopo la sua morte, mi viene in mente Nietzsche quando afferma: “Sono nato postumo” e, se è vero che una cosa del genere accade solo ai grandi artisti e ai profeti, nessuno più di Blake poteva esserlo. Di certo l’hanno fatta da padrone tutta la carica iconica e simbolica che solo lui ha saputo partorire e la bellezza della sua arte che è rimasta immutata fino ai giorni nostri. Mi chiedo se, invece, non abbia giocato un ruolo importante anche il fatto che egli abbia avuto la capacità di condurre, chi realmente deciso a seguirlo, in “luoghi della mente” fatti di libertà, di verità e di purezza. “Luoghi” abbastanza inconsueti per il nostro quotidiano e che possono diventare rifugio necessario per chi non si accontenta di un reale effimero e materialista.

Effettivamente, alla luce di quello che siamo stati e di quello che siamo diventati, si dovrebbero rivalutare i moniti di menti geniali e lungimiranti che, con secoli di anticipo, ci hanno messi in guardia dai mostri che noi stessi avremmo generato. Mostri che avrebbero avuto le nostre sembianze, i nostri volti e che ci si sarebbero ritorti contro ad una tale velocità da non poterne essere mai veramente consapevoli. I lumi del 1700 avevano ragione di nascere come conseguenza a secoli di oscurantismo, repressione, paura, superstizioni che hanno mietuto vittime come vere e proprie guerre dichiarate. L’ottimismo illuminista ha peccato di presunzione o di ingenuità, oppure è stato semplicemente tradito. C’era fiducia nell’uomo e nelle sue potenzialità che meritavano di avere di nuovo la considerazione che gli era stata negata per troppo tempo, nella sua opera intelligente come fondamento per la sua crescita. Non è stata fatta, però, valutazione dei rischi a cui si andava incontro ponendo nelle mani della più pericolosa bestia vivente le sorti della sua specie e del suo habitat. L’Illuminismo pensava di restituire all’uomo la sua ragione, la sua intelligenza, il suo destino, tutta la sua potenza creatrice, ma gli ha affidato le armi sbagliate. Il progresso, il denaro, il potere e una condizione in cui egli può essere l’artefice della vita e della morte, del bene e del male, unico sole del suo stesso universo, hanno invece reso la bestia insaziabile, sempre più feroce ed avida di quei mezzi senza cui non può più fare a meno e che hanno alimentato solo la sua potenza distruttrice. La centralizzazione della sua posizione è stata fraintesa, se non abusata.

William Blake aveva intuito tutto questo, aveva capito che l’uomo andava “educato”, indirizzato verso una concezione della realtà che gli avrebbe concesso di vivere libero dalle catene di istanze che lo avrebbero imbarbarito e paralizzato. Forse è questo il motivo per cui Blake è ancora così attuale e così amato. Se potesse vederci oggi, credo che l’unica cosa che potrebbe dirci è: “Io ve l’avevo detto!”.

Lucia Matano

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