Gide scrisse una volta che le più opposte tendenze non erano mai riuscite a far di lui un essere tormentato, ma un essere perplesso: poiché il tormento accompagna uno stato da cui si desidera uscire, mentre egli diceva di non desiderare di sfuggire a ciò che metteva in vigore tutte le possibilità del suo essere. Quel che per gli altri nuoceva alla creazione era per lui un invito.1
È un peccato che André Gide sia spesso ricordato come “quello che non ha voluto pubblicare Proust” nonostante abbia riconosciuto il suo errore. È un anche peccato che faccia parte di quegli autori che “prima o poi leggerò”, procrastinazione legittima e comprensibile perché André Gide non è un autore dallo stile leggero e dalle trame
avvincenti.
Allora viene naturale chiedersi quale può essere il valore di questo uomo di cultura che nel 1947 ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura con la seguente motivazione: «Per la sua opera artisticamente significativa, nella quale i problemi e le condizioni umane sono stati presentati con un coraggioso amore per la verità e con una appassionata
penetrazione psicologica.»
Gide infatti, per amore della verità, non ha paura degli abissi, delle zone d’ombra e delle contraddizioni umane. Debitore nei confronti di Dostoevskij come ha più volte ammesso, scava e mostra al lettore quello che trova senza mai pronunciarsi e senza mai giudicare. Un suo passo indietro equivale a un passo in avanti del lettore, che può sentirsi messo a nudo o cominciare a interrogarsi.
Ne L’immoralista sarebbe facile condannare il comportamento di Michel e la passione omosessuale per dei ragazzini. Ne La porta stretta l’amore costantemente rimandato e l’angelismo dei cugini Alissa e Jérôme. Ne I sotterranei del Vaticano tutti gli imbrogli e le macchinazioni di Protos. E ne I falsari la combriccola segreta di Georges, il conte di Passavant e la storia accennata tra Édouard, Olivier e Bernard.
Le occasioni sono tante, ma l’afasia del narratore regna sovrana.
Afasia che significa lasciare la questione aperta e senza risposta. Tra la liberazione sensuale e sessuale di Michel e l’astensione di Alissa e Jérôme cosa scegliere? Il primo ritrova sé stesso ma perde la moglie Marceline; i secondi si perdono per paura di trovarsi. E tra il movimento costante che provoca vertigini e la staticità? Sarebbe meglio il
movimento apparente de I sotterranei del Vaticano in cui tutti i personaggi si spostano nello spazio ma poi tutto ritorna al punto di partenza? O ancora, cosa è meglio tra l’impegno politico forsennato e la visione apartitica messi a confronto ne I falsari?
Anche qui nessuna strada indicata dal narratore.
Il segreto di uno spirito di osservazione così penetrante è che, come scrive Giovanni Macchia nelle parole poste in apertura, lo stesso Gide si riconosce come essere scisso e perennemente in questione. È lo stesso Gide a vivere su di sé la contraddizione tra una castigata educazione protestante e l’omosessualità scoperta a fatica nel tempo (tematica a cui consacra Corydon); tra la voglia di muoversi, scoprire e viaggiare e la voglia di mettere radici; tra la volontà di dare finalmente alla luce un romanzo d’avventura pieno di futilità, come pensava con il suo amico Jacques Rivière, e lo stile classico della scrittura.
Tutto ciò rende André Gide un essere inquieto che riesce a parlare alle inquietudini dell’uomo. Non è un caso se la citazione di Macchia è presa da Gide e l’inquietudine della ragione.
Allora una delle possibili risposte alla domanda “perché leggere André Gide” potrebbe essere la capacità di interrogare quel senso di insoddisfazione che prima o poi coglie chiunque nella vita, di mettere in luce le nostre contraddizioni e a farne “delle possibilità dell’essere” a patto che vengano riconosciute, affrontate con sincerità e con la consapevolezza che assecondare sempre e solo una delle alternative potrebbe essere pericoloso.
Angela Valente
- G. Macchia, Gide e l’inquietudine della ragione in Il paradiso della ragione. L’ordine e l’avventura nella tradizione letteraria francese, Bologna, Piccola Biblioteca Einaudi, 1972, p. 347. ↩︎

