Intervista a Emanuele Trevi di Cristina Marra e Gigi Agnano

“E se ti chiedessi di intervistare Emanuele Trevi?”
“Ti risponderei di sì, ma a una condizione”.
“Quale?”
“Che lo intervistiamo insieme!”
Firmiamo con questo accordo la nostra prima intervista a quattro mani e a quattro occhi incantati dalla scrittura del premio Strega 2021 che torna in libreria con la riedizione di L’onda del porto – un sogno fatto in Asia per Neri Pozza Bloom.

Walter Siti tempo fa raccontava che, dopo aver vinto lo Strega, gli offrirono un gran bel contratto di 40 mila euro per il libro successivo che stava scrivendo da quattro anni. Faccio due conti e sono 800 euro al mese. Ti passa mai per la testa che tutta la fatica che si fa nello scrivere forse non conviene (Rocco in Due vite la chiama “la meticolosa penitenza della scrittura”)? Che nella vita avresti potuto fare altro? Insomma, consiglieresti a un giovane che avverte del talento di fare lo scrittore?

Dipende molto, secondo me, dal fatto di avere una famiglia o no. Da giovane ho patito qualche periodo di precarietà, del tutto normale, ma ho sempre lavorato e la vita era più facile. Non avendo figli da crescere, pur non essendo affatto ricco di famiglia ho sempre campato abbastanza bene, ma mi rendo conto che questo problema per i più giovani è terribile.

Tu hai scritto di viaggi iniziatici, di posti lontani. Georgi Gospodinov, che ha vinto lo Strega europeo lo scorso anno, ha scritto una storia, una poesia per me molto bella che è L’elenco delle cose che bisogna assolutamente ascoltare. Mi dici invece un posto che bisogna assolutamente vedere?

Non direi che esista un posto che bisogna assolutamente vedere. Il posto che mi ha più colpito è Angkor Wat, in Cambogia. Ma il posto che amo di più al mondo è la Grecia.

Ti sei occupato di Pasolini in Qualcosa di scritto che è del 2012. Quest’anno si è celebrato il centenario della nascita, sono stati pubblicati vari libri e c’è stata la ristampa di Petrolio. Come presenteresti a un giovane lettore la figura di Pasolini, perché è ancora opportuno leggerlo?

Pasolini non è decisamente tra i miei scrittori preferiti, ma c’è qualcosa in lui che ammiro molto, la capacità di conoscere, l’affidarsi alla notte e al desiderio. Mi sono però molto sottratto alle celebrazioni, ho accettato solo di fare una conferenza su Petrolio, e qualche articolo per il Corriere della Sera. Mi è molto piaciuto il libro di Dacia Maraini, Caro Pier Paolo, e naturalmente adoro il lavoro di Walter Siti.

Se quello dello scrittore è un mestiere in cui generalmente si migliora col tempo, cosa provi quando viene ripubblicato un tuo “vecchio” libro (“vecchio” per il mercato editoriale) come L’onda del porto?

Guarda, certi libri che ristampo li rivedo, come mi è capitato con I cani del nulla, ma quello sull’India l’ho lasciato com’era, anche perché ha una scrittura diaristica, molto spontanea. Ma un po’ è stata pigrizia, in realtà se si ha l’occasione bisognerebbe sempre rivederli, è bello migliorare i particolari ! Io sono fortunato perché tutto quello che ho fatto viene periodicamente ristampato, ma certe volte capita che l’editore ti dà poco tempo e allora non si può, perché è un lavoraccio. Non mi piace lo stile dei primi libri, scritti negli anni Novanta, perché cercavo di imitare un modello fisso (Cristina Campo), poi non ho scritto libri per qualche anno e con I cani del nulla tutto sommato ho trovato la mia voce, ma c’era ancora molto da migliorare.

Uno tsunami devasta, cambia i contorni fisici e fa vittime tra la popolazione. A cosa bisogna aggrapparsi per ricominciare?

Bisogna restituire la forma all’informe. Fondamentalmente, L’onda del porto è un libro sul disegno, un libro su come dei bambini hanno disegnato lo tsunami. Quello è il centro, la loro capacità di tradurre l’informe in un forma.

Il tuo viaggio a Mullur è stato anche di formazione, un viaggio dentro te stesso che ti ha forgiato e ti ha cambiato?

Non so, avevo già superato i quarant’anni. Però era un periodo bellissimo, pieno di avventure. Sono stato tante volte in Asia, è stata una cosa importante per me. Devi essere giovane per fare certe cose. Ora poi con il covid…mi manca molto.

Il freddo di Roma e il caldo di Mullur, i rumori dell’acustica del bosco e quello delle onde. Il libro è un’alternanza di emozioni e sensazioni, quasi come fosse un moto ondoso?

Sì il rumore delle onde è importantissimo.

I due bambini sono i due grandi protagonisti, quanta forza hanno i bambini e quanto ti hanno insegnato?

Erano strani, molto simpatici, dei grandi paraculi. Però ancora fragilissimi. Lì i bambini li trattano malissimo, per noi è una cosa incredibile. Pure se gli devono dire di spostarsi al cinema gli tirano un calcio.

Dal piccolo ippopotamo, agli scoiattoli, al cane, che ruoli hanno gli animali nel tuo racconto?

Ha un grande ruolo la tartaruga alla fine, gli altri meno.

I disegni diventano la fotografia della gioia ma anche del disastro, diventano anche parte del racconto?

Il racconto è un commento ai disegni, in pratica – o almeno volevo che fosse così.

Sei tornato di nuovo in India dopo l’uscita del libro?

Sì tante volte, mai in Kerala però, quello è un mondo a parte. Anche la lingua: se uno di Mullur va a Delhi, non capisce nulla.

Fonte foto: https://www.fieradelleparole.it/autore/trevi-emanuele/.

Cristina Marra e Gigi Agnano

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