
“Colui che conosca le pieghe e le complessità del corpo della sua propria madre, egli non morirà mai. Colui che conosca le latitudini del corpo della propria madre, colui che l’abbia sollevata tra le braccia e battesimalmente immersa nella vasca del bagno, sollevando oltre il bordo prima una e poi l’altra delle sue gambe alabastrine, colui che la lavi con campioncini di sapone Woolworth, colui che ruoti le stridenti manopole e saggi la temperatura dell’acqua con l’interno del proprio polso, […], colui che abbia baciato la propria madre nel punto in cui si separano i suoi capelli candidi e ne abbia sussurrato il nome mentre la insapona sotto quel seno che un tempo gli diede il latte, colui che inali l’acre e avvilente tanfo del corpo della propria madre mentre lava via gran parte di tal lezzo con saponette Woolworth alla lavanda, che ne abbia messo da canto il futile reggiseno e le mutande oversize […], colui che abbia asciugato con una spugna viola le stalattiti di bava dalla bocca della propria madre, che abbia spinto di lato l’invadente tenda viola della doccia per meglio sollevare la propria esile madre e lavarle il sedere dove talvolta una dolce merda infantile si raggruma […], colui che mentre la lava pianga sulle condizioni della madre, pianga silenziosamente, senza aggiungere al proprio pianto parole o sguardi pietosi o soffiamenti di naso o gemiti, solo un breve pianto da sciocchino, colui che poi si riprenda rapidamente ed

energicamente dallo sconforto e formuli un ringraziamento per il mero fatto di avere ancora una madre, ma che nondimeno si sia interrogato sul tipo di giustizia astrale che l’ha così immobilizzata, colui che vorrebbe che il bagno fosse già finito per potersene andare a bere in un bar del quartiere […], colui che insaponi una seconda volta la madre per assicurarsi che ogni recesso del suo corpo sia disinfettato, che venga eliminato ogni granello di polvere, ogni scaglia di sudiciume, colui che mentre l’acqua comincia a defluire entri nella vasca da bagno per sollevare la madre come solleverebbe da un torrente un paracadute zuppo, colui che, collocatala sul sedile abbassato della toilette per asciugarla con un asciugamano dallo spessore ormai sfinito (viola), nell’asciugarla ne annusi, delicatamente, impercettibilmente, la superficie della pelle […], colui che una seconda volta baci la propria madre lì dove i suoi arruffati capelli sono più radi e la sollevi di peso tra le braccia per portarla alla sedia a rotelle sulla soglia, colui che alla propria devastata mamma dica, con una leggera balbuzie dovuta ad ansia generalizzata e a insufficienti pause tra inalazione ed esalazione del fiato, Ehi, Mamma, s-s-stasera hai un a-a-a-a-aspetto favoloso, stai una m-m-meraviglia, colui che dica ciò mentre sblocca il freno della sedia a rotelle, colui che quindi porti la sedia a rotelle col suo carico a fermarsi nel corridoio all’altezza dalla cucina, sotto uno scadente paesaggio finto-impressionista americano appeso

alla parete, al semplice scopo di abbracciare ancora una volta la propria mamma perché non la vede da mesi, perché è un figlio negligente, perché le sue condizioni sono peggiorate, vanno sempre peggio, […], colui che quindi abbracci la madre (daccapo) sentendo che la propria vita è comunque la migliore delle vite, colma di timori e successi, di cattive notizie e di buone, di prosperità e di penuria, di sacro e di profano, di maschile e di femminile, di presente e di repliche del passato, colui che in tale istante di travaglio e rispetto, conosca il perché del fiorire della rosa, del canto dei bicchieri di cristallo, della morbidezza delle labbra umane nel bacio, del soffrire dei genitori, egli non morirà mai. Hex Raitliffe. E se costui è un eroe, allora gli eroi sono a bizzeffe, e il mondo ne è pieno come lo è di cani randagi, gomme lisce e chiavi smarrite.”
Rick Moody – Rosso americano (La nave di Teseo)

